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Gaza City è stretta in una morsa di fuoco. I bombardamenti hanno scandito la notte e il giorno, mentre i carri armati israeliani avanzano da nord e da sud. Migliaia di civili fuggono verso il sud della Striscia, spinti da un piano che mira a svuotare la città per isolare Hamas.
Netanyahu oscilla tra la retorica dell’offensiva e l’apertura ai negoziati per il rilascio degli ostaggi. L’accordo mediato da Egitto e Qatar, già accettato da Hamas, resta in sospeso. Una tregua di sessanta giorni sembra possibile, ma Israele insiste sul disarmo totale del nemico. La trattativa procede con i cannoni puntati.
Intanto le famiglie degli ostaggi chiedono disperatamente che l’accordo venga firmato, mentre la destra nazionalista sogna la conquista totale. La comunità internazionale resta quasi muta di fronte all’assedio, ma condanna con forza il piano “E1” in Cisgiordania, che con nuove colonie rischia di cancellare la prospettiva di uno Stato palestinese.
Quaranta i morti solo ieri, otto uccisi mentre cercavano aiuti. Le parole di un giovane giornalista di Gaza raccontano il resto: “I bombardamenti hanno distrutto la casa dei miei genitori. Stanno bene, ma oggi non riesco a fare il mio lavoro”. In questa frase c’è tutto: la vita sospesa, la pace lontana, la guerra che divora ogni futuro.