giuliano balestreri
Alla scalata di Mps a Mediobanca segue una domanda cruciale per il principale asset finanziario italiano. Se l’Ops andrà in porto, chi controllerà le Generali? Gli addetti ai lavori non hanno dubbi: toccherà a Unicredit oppure a Intesa Sanpaolo. Addirittura c’è chi sussurra che tra i due big del credito sia iniziata una sorta di guerra fredda che – probabilmente – vedrà il suo culmine a maggio, dopo la stagione delle assemblee. Sarà una battaglia – spiega una fonte -, ma non sarà a colpi di Opa perché sarebbe troppo costosa per tutti.
Fino a oggi Piazzetta Cuccia con il suo 13,1% è riuscita a mantenere la guida del colosso assicurativo, cassaforte del debito tricolore. La prossima settimana, il 24 aprile, l’assemblea dovrà rinnovare il consiglio d’amministrazione e Mediobanca ha sostanzialmente presentato la lista che avrebbe candidato anche il cda se la nuova legge capitali fosse entrata in vigore per tempo. A fronteggiare l’asse tra Alberto Nagel e l’ad del Leone, Philippe Donnet, ci sarà la lista di Francesco Gaetano Caltagirone che al suo 6,7% conta di sommare anche il 9,9% di Delfin – sempre in attesa degli ultimi via libera per salire al 19,9% di Generali.
La lista Caltagirone, però, è “corta”, non presenta né un candidato presidente, né un amministratore delegato: di conseguenza non potrà ottenere la maggioranza in consiglio e questo potrebbe spingere i fondi a preferire i candidati di Mediobanca. Per l’imprenditore romano, però, il voto cruciale è quello di oggi a Siena: il via libera all’aumento di capitale – sostenuto prima dell’assemblea già dal 52% del capitale del Monte – potrebbe spianare la strada alla conquista di Mediobanca. L’assemblea di Trieste, di conseguenza, sarà soprattutto un’occasione per fare conta e misurarsi con il mercato. A cominciare da quelle che saranno le mosse di Unicredit.
Il vero nodo, infatti, si aprirà successivamente. L’amministratore delegato di Mps, Luigi Lovaglio ha detto chiaramente, all’ultima Morgan Stanley Conference, ha spiegato che il 13,1% di Generali è un “nice to have”, buono da avere, ma non determinante al fine degli utili della società: «Oggi – aveva sottolineato il banchiere da Londra poche settimane fa – il Leone contribuisce agli utili di Mediobanca per il 40%, con la nascita del nuovo gruppo l’impatto calerebbe al 15-18%. A quel punto non dovremmo dedicare troppo tempo a Generali e potremmo maggiormente concentrarci sul restante 80%».
Di più. Per Lovaglio si tratta di un asset che «ci offre opzionalità per il futuro in termini di cooperazione ma per noi quello che importa è creare una forza competitiva nello scenario italiano». Un ragionamento chiaro che prelude a una discesa nel capitale del Leone, ma che apre anche a una contendibilità della società. Quanto meno nella sua gestione. D’altra parte, la principale critica che Caltagirone e Delfin muovono a Mediobanca è proprio quella di non aver mai ridotto la partecipazione su Trieste, pur avendone parlato a più riprese.
Il problema si ripresenterà quindi a breve. E a guardare da vicino la partita ci saranno Unicredit e Intesa Sanpaolo. L’ad di Piazza Gae Aulenti, Andrea Orcel, è piombato su Generali una settimana dopo l’annuncio della scalata di Mps a Mediobanca. Unicredit ha comunicato di aver costruito la propria posizione iniziale – poco sotto il 4% – nel tempo, ma poi l’ha arrotondata oltre il 5% e potrebbe non essere lontana dall’8 per cento. Una quota che il banchiere ha sempre definito finanziaria e non strategica, ma per la quale ha investito diversi miliardi di euro e che nelle prossime settimane potrebbe assumere un significato profondamente diverso. A cominciare dalla rottura nei negoziati per il rinnovo della partnership con Amundi: Generali potrebbe subentrare ai francesi. E a quel punto l’alleanza potrebbe diventare più strutturale. Unicredit potrebbe essere il partner industriale capace di puntellare l’azionariato di Trieste con Caltagirone e Delfin – che, peraltro, detiene anche il 2,7% di Unicredit.
Difficile, però, che la partita lasci del tutto indifferente Intesa Sanpaolo. L’amministratore delegato Carlo Messina ha più volte ribadito di essere spettatore e non attore del risiko bancario. Ha spiegato di aver guardato l’operazione Generali anni fa, ma che ora si tratta di un capitolo chiuso. Il 29 aprile, però, sarà riconfermato al vertice della banca dall’assemblea dei soci, e allora la storia potrebbe cambiare. Soprattutto per non lasciare troppo spazio a Unicredit. Certo, Intesa avrebbe problemi sul fronte dell’Antitrust, ma come nel caso di Ubi Banca una soluzione si potrebbe trovare. Del resto, due mosse le ha fatte anche Intesa. Prima ha insistito perché Assogestioni presentasse una lista per il rinnovo del cda Generali, poi ha prestato 500 milioni a Caltagirone – cliente storico della banca.