Niente didascalie, niente pannelli esplicativi, niente supporti per le sculture, tutte disposte a terra: un effetto felicemente spaesante accoglie il visitatore alla mostra che la Galleria d’arte moderna di Torino dedica, fino al 17 marzo, a Gianni Caravaggio. L’unica strumento in dotazione è un essenzialissimo pieghevole che serve da bussola per muoversi tra le opere. Le luci dall’alto sono puntate sulle sole sculture per illuminarle, spiega la curatrice Elena Volpato, «come apici di costellazioni disegnate da invisibili linee di congiunzione».

Le opere disseminate nello spazio quasi si trattasse di meteoriti piovuti dal cielo appaiono come le lettere del primo alfabeto dell’universo. Caravaggio è scultore con una forte propensione filosofica, nutrita dagli anni trascorsi in Germania. Tanto pensiero, ma grazie alla tensione poetica i suoi lavori arrivano a noi portando con sé messaggi elementari: i titoli ogni volta funzionano da dispositivi decisivi per attivare esperienza e immaginazione del visitatore nel rapporto con le opere. Illuminano suggerendo discretamente delle «analogie»: Per analogiam è il titolo della mostra. I titoli, spiega Volpato nel testo in catalogo, garantiscono «un aggiungersi di significato, uno spostamento per analogia nell’ordine soprasensibile», così da trasportare «la fisicità della scultura sul piano del pensiero e del sentimento della natura».

Prendiamo il caso di una delle più emozionanti opere esposte: davanti a noi abbiamo un blocco semicilindrico di marmo verde del Guatemala, levigato, che con la sua forma impercettibilmente irregolare richiama la struttura cromaticamente densa di un abete. L’opera, distesa sul pavimento, è imbiancata sulla punta da una lieve pioggia di zucchero a velo: Prima neve è il titolo (2020). Quel «prima» rimanda poeticamente alla suggestione di un’infanzia del mondo; ma nello stesso tempo si avverte vibrare la tenerezza di un ricordo tratto dalla personale infanzia.

La scultura di Caravaggio vive sempre di una tensione orientata a far affiorare in forme prelinguistiche il sentimento puro di un inizio. È un’intenzione resa candidamente esplicita nell’opera che significativamente apre il percorso della mostra, Giovane universo (2014), dove su un filo di bronzo argentato sagomato sulla mano dell’artista sono poste una serie di sfere di vetro puro e trasparente: è il sogno di contenere nel palmo l’incanto del primo apparire dei mondi. Nel prosieguo della mostra l’opera si presenta in un’altra versione, con le sfere sparpagliate sul pavimento, quasi fosse il frame successivo e nel Giovane universo ciascun elemento andasse ora a prendere il posto destinato.

Al contatto con la dimensione dell’inizio segue un sentimento di stupore, altra dimensione chiave dell’opera di Caravaggio. Lo dichiara esplicitamente il titolo di un’opera del 2006, Lo stupore è nuovo ogni giorno. Davanti a noi abbiamo una sorta di valva realizzata con una leggerissima lamina di alluminio, sulla quale è riprodotta con dei fori la mappa stellare relativa a giorno e luogo della nascita dell’artista. La lastra è tenuta sollevata su un lato come il coperchio di uno scrigno grazie a una sottile bacchetta. Caravaggio ha fatto poi piovere sulla sua opera del leggerissimo talco che passando attraverso i fori «proietta» con estrema delicatezza sulla terra il disegno del cielo.

La mostra, così, passo dopo passo, si trasforma per il visitatore nell’esperienza di un viaggio all’alba del mondo, dove le nuvole, grandi blocchi di alabastro Bardiglio scomposti longitudinalmente, possono svelare i propri sentimenti. E dove un semplice filo rosa teso tra due blocchi di onice ugualmente rosa evoca il lavoro mirabile del primo «tessitore di albe». Una mostra questa che alla fine riconcilia con la scultura, arte di questi tempi affetta da troppe iperboli.