Adriano Giannola, presidente della Svimez, il ministro per gli affari regionali Roberto Calderoli ha detto che con l’autonomia differenziata supereremo la questione meridionale e la questione settentrionale che ci portiamo dietro dal 1861. È così?

È un’idea ambiziosa. Calderoli è astuto, ma le bugie hanno le gambe corte. Il disegno di legge che porta il suo nome, e che al momento è passato al Senato, certificherà quello che noi diciamo dal 2011: la scomparsa della questione meridionale che avverrà per eutanasia del Mezzogiorno.

 

Che cosa intende?

Sto parlando di un processo visibile attraverso le migrazioni dei giovani per esempio. Per mantenerli fuori, spesso con sistemazioni precarie, si spostano risorse. Rispetto al passato oggi non sono più gli immigrati a inviare le rimesse a casa, ma sono le famiglie che li mantengono. Guardiamo la migrazione sanitaria verso la regione di Calderoli, la Lombardia. Risorse che permettono ai suoi bilanci di essere in attivo. Tutto ciò proseguirà fino a quando ci saranno le risorse per farlo, ci saranno persone di mezza età e anziane che continueranno a finanziare l’emigrazione. Non è una questione che riguarda solo il Sud che, si stima, perderà fino a 4 milioni di persone, ma il 40% del territorio nazionale. è uno scenario da incubo, ma rischiamo di arrivarci. Ma c’è di più.

 

Ancora?

Temo che Calderoli abbia in mente il secondo tempo dell’autonomia differenziata. Il Veneto, la Lombardia e le altre regioni interessate, senza chiedere il permesso, potranno appoggiarsi alle norme esistenti, stipulare accordi e creare organismi comuni in una macro-regione che sappia gestire interessi comuni. Nel giro di pochi mesi potrebbero tirare fuori una bozza di accordo che sarà approvata con legge regionale.

 

Non si crea così uno «Stato arlecchino»?

È una giusta obiezione, tra l’altro l’ha sostenuto di recente anche Confindustria. Che cosa intendono fare? Un patchwork di competenze che saranno regolate diversamente a seconda delle regioni che ne fanno richiesta? Ma troveranno un modo per razionalizzare e giustificare questa situazione.

 

In che modo?

In base all’articolo 117 della costituzione possono mettersi assieme, stipulare accordi e creare organismi comuni per gestire interessi comuni.

Questa norma rientra nella riforma fatta più di vent’anni fa dal «centro-sinistra»?

Sì, è una trappola messa nella riforma del Titolo V della Costituzione che potrebbe essere usata in maniera strumentale nella prospettiva di questa autonomia. All’inizio del 2018, inoltre, il governo Gentiloni firmò le pre-intese nel 2017 con Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto che richiesero in maniera diversa di gestire competenze estesissime: istruzione, la cessione al demanio regionale di fondamentali infrastrutture, le risorse per le politiche industriali, la sanità, tra l’altro. Oggi l’opposizione denuncia giustamente questa autonomia, ma non riflette sull’intero processo e non lo discute in maniera complessiva.

 

È uno scambio tra Lega e Fratelli d’Italia: autonomia e premierato?

Se ci sarà, sarà un premierato senza sovranità, e la sovranità andrà alle regioni. E diranno che formalmente tutto sarà in armonia, i sette colli di Roma penseranno di governare mentre certe regioni faranno ciò che converrà alle loro élites politiche.

 

Cosa può fare il parlamento?

Se il parlamento ratifica questo testo l’autonomia differenziata sarà irreversibile. E non potrà emendare le intese con le regioni, ma solo approvarle o rifiutarle. Parliamo di una «legge rinforzata» che è sottratta al referendum abrogativo.

 

Cosa risponde a Sabino Cassese, presidente del Comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep), per il quale contro l’autonomia c’è un approccio ideologico, il Sud non deve avere paura e chi ha più gambe corre e vince?

Se Cassese fosse di più un economista liberale dovrebbe rendersi conto che i punti di partenza tra le regioni sono enormemente diversi. E anche dove ci sono territori virtuosi, come l’Irpinia ad esempio, ciò non basta a garantire che si parta dallo stesso punto. Si parla tanto di Lep, ma non sono pubblicati, non si è visto l’impegno finanziario, né si conosce l’iter. L’unico livello essenziale da stabilire è che si deve raggiungere lo stesso livello dappertutto in Italia. Avrebbero dovuto scriverlo sulla carta intestata della mitica commissione presieduta da Cassese.

 

Ieri ha ricordato in un convegno il grande economista Augusto Graziani a dieci anni dalla scomparsa. Che cosa avrebbe pensato dell’autonomia differenziata?

La nostra lunga comunanza dal 1968 mi permette di dire che avrebbe sostenuto le cose che sto dicendo. Nel suo stile analitico, sofisticato e rigoroso avrebbe denunciato l’illusione dei Lep e dimostrato che l’autonomia non è la soluzione per la crisi del Nord. Le classi dirigenti non hanno capito che il declino è dovuto alla difficoltà di ristrutturare la produzione e ripensare il modello industriale. Graziani avrebbe criticato l’economia della domanda oggi predicata. Lo Stato non è un puro arbitro che sovrintende un gioco tra diseguali, ma è un regista in un’economia keynesiana dell’offerta. L’avrebbe argomentato con la storia di questo paese di cui si è persa la cognizione. Ma la storia è utile per capire dove stiamo andando.