
Draghi avverte l’Europa: integrazione o irrilevanza
23 Agosto 2025
Putin tra diplomazia e minaccia atomica
23 Agosto 2025
Da mesi Israele insiste sul controllo diretto degli aiuti umanitari destinati alla popolazione di Gaza. Per il governo di Netanyahu, decidere chi riceve cibo e assistenza non è solo una questione logistica, ma un vero e proprio strumento politico e militare. L’idea di fondo è che gestendo il flusso degli aiuti si possa indebolire Hamas e mantenere il controllo del territorio.
Per questo, insieme a Washington, è stata creata una fondazione ad hoc. Nata in fretta e senza esperienza concreta nel campo umanitario, questa struttura si è presentata fin da subito con molte ombre: fondi poco chiari, scarsa trasparenza e una gestione che ha privilegiato la sicurezza armata più che il sostegno ai civili.
Il risultato è stato drammatico. Code interminabili davanti ai centri di distribuzione, convogli scortati da contractor americani e, in diversi casi, scontri in cui sono morte persone affamate in cerca di un pacco di riso o di farina. Organizzazioni internazionali e Nazioni Unite hanno denunciato il sistema come un “inganno umanitario”, dove il cibo diventa un’arma di guerra invece che uno strumento di sopravvivenza.
Sul piano economico la scelta rischia di trasformarsi in un boomerang. Mantenere un apparato del genere costerà circa due miliardi di dollari l’anno: soldi che Israele, già sotto pressione per le spese militari crescenti, non sembra in grado di sostenere a lungo senza tagliare altri servizi, come istruzione e sanità. Non a caso, all’interno del governo sono scoppiate tensioni: alcuni ministri accusano Netanyahu di pensare più ai bambini palestinesi che a quelli israeliani, mentre altri chiedono ancora più fondi per garantire la sicurezza delle scuole e delle famiglie.
C’è poi un problema politico di fondo: Israele vorrebbe sostituirsi all’ONU nella gestione della crisi, ma allo stesso tempo spera che proprio le agenzie internazionali continuino a coprire i costi. Un paradosso che lascia intuire quanto fragile sia questo disegno.
Il “piano del giorno dopo”, quello che dovrebbe garantire una qualche stabilità a Gaza, resta del tutto vago. Intanto la popolazione continua a vivere sotto assedio, stretta tra la fame, i bombardamenti e la totale incertezza sul futuro. Israele, che pensava di controllare il territorio attraverso gli aiuti, rischia invece di restare intrappolato in un meccanismo insostenibile sia sul piano economico che politico, mentre a pagare il prezzo più alto restano ancora una volta i civili della Striscia.