
Innamorato del mondo
26 Maggio 2025
U2 – One
26 Maggio 2025
Le ingiuste detenzioni? “Colpa della carenza di risorse. Molti casi riconducibili a contesti mafiosi”. Gip appiattiti ai pm? “Dopo la prima valutazione ci può essere la tendenza ad avere meno attenzione”
Che la maggioranza voglia accelerare l’iter di approvazione della riforma sembra evidente. Ma perché l’Anm, cioè il sindacato dei magistrati, sente di dover criticare una decisione legittimamente presa dalla maggioranza parlamentare? Non dovrebbero essere i partiti di opposizione in Parlamento a occuparsi di queste cose?
“Le opposizioni fanno il loro mestiere, fanno un’opposizione politica. Noi, come associazione, ci poniamo con una chiave non politica ma di difesa di princìpi costituzionali. Di solito in una democrazia il dibattito parlamentare viene visto come un momento di crescita della possibilità di arrivare a un risultato ottimale dal punto di vista legislativo. In questo caso fin dall’inizio questa volontà di confronto con le opposizioni su una riforma che va a toccare l’impianto costituzionale mi sembra non ci sia mai stata”.
Però, mi perdoni, l’Anm non è il guardiano delle procedure parlamentari.
“Lo siamo nella misura in cui tutti i cittadini hanno il diritto di interloquire in vario modo con le procedure parlamentari. Qualunque gruppo associato può manifestare la propria opinione. Noi in questo caso, poiché siamo un gruppo associato portatore di interessi, manifestiamo la nostra opinione. Poi che questo non abbia una grande efficace me ne rendo conto, ma lo facciamo perché crediamo nelle nostre idee”.
Entrando nel merito della riforma, la critica principale che muovete è che essa porrebbe il rischio di una sottoposizione del pubblico ministero all’esecutivo. La riforma però ribadisce esplicitamente i princìpi di autonomia e indipendenza della magistratura nel suo insieme. Il nuovo articolo 104 della Costituzione dopo la riforma reciterebbe: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente”. Dov’è il rischio di lesione dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura?
“Noi sappiamo perfettamente che nella riforma non c’è una previsione espressa su questo e non facciamo neanche il processo alle intenzioni. Semplicemente rileviamo che nella maggior parte dei paesi in cui vi è una separazione delle carriere, come la Francia, la Germania e l’Inghilterra, di fatto c’è la sottoposizione del pm all’esecutivo. Al Salone del libro di Torino ho detto che persino in Portogallo, che tutti citano come esempio di una separazione virtuosa delle carriere, il procuratore generale è nominato dal governo. Quindi, poiché vediamo che in molti paesi dove c’è la separazione delle carriere poi c’è una sottoposizione, in varie forme, del pm all’esecutivo allora questo non è un pericolo immaginario. E’ un dato che nasce dall’osservazione”.
Della riforma l’Anm boccia anche la previsione di un doppio Csm (uno per i pm e uno per i giudici) e l’istituzione di un’alta Corte – esterna ai Csm – con il compito di valutare i magistrati sul piano disciplinare.
“Un pm che ha una scarsa rappresentatività nel Csm è sicuramente un pm più debole. Così come c’è un indebolimento indiretto anche nel momento in cui la giustizia disciplinare viene svincolata dal corpo gestionale dell’ente. Si tratta di un caso unico: in tutti gli enti,
dalla Banca d’Italia alla Consob, e negli ordini professionali la giustizia disciplinare è interna. Nel caso della magistratura, la giustizia disciplinare significa valutare in concreto la vita del magistrato e il contesto in cui opera. E questo può farlo soltanto chi ha una conoscenza, anche se indiretta, del momento gestionale. Infine vorrei porre una terza considerazione”.
Prego.
“Siamo sicuri che con un Csm del pubblico ministero autonomo e indipendente, che quindi decide in autonomia anche sui progetti organizzativi delle procure, senza alcun contraddittorio con i giudici come accade oggi, non porterà a un’impostazione generale in chiave fortemente accusatoria ed efficientista come si è sviluppata in altri paesi?”.
Per realizzare in concreto il rischio di sottoposizione del pm all’esecutivo sarebbe necessaria una nuova riforma della Costituzione che elimini la previsione dei princìpi di autonomia e indipendenza per tutti i magistrati. Perché allora protestate adesso e non tra cinque o dieci anni, o quando avverrà questo tentativo di riforma (se mai ci sarà)?
“Protestiamo adesso perché ci caliamo nel contesto internazionale che ci dà queste indicazioni. Poi non bisogna dare per scontato che occorrerà un’ulteriore riforma costituzionale. Qualche dubbio lo abbiamo, specialmente nel caso in cui le leggi attuative si indirizzassero in una certa direzione”.
Però le leggi attuative che il governo dovrà adottare dopo l’approvazione della riforma non potrebbero mai andare in contrasto con i princìpi costituzionali che tutelano la magistratura.
“Non bisogna fin da oggi sottovalutare le leggi attuative, che saranno complesse, delicate e che poi saranno quelle che inseriranno in concreto nel sistema questi princìpi. E, ripeto, bisognerà stare molto attenti a vedere cosa conterranno. Non sarà una mera fase esecutiva: queste leggi avranno un’altissima significatività dal punto di vista dell’impatto concreto della riforma sul sistema”.
La maggioranza punta ad approvare definitivamente la riforma verso la fine dell’anno. Avete in mente di attuare nuove forme di protesta, come lo sciopero tenuto a febbraio?
“Non credo che lo sciopero possa rappresentare una forma di protesta replicabile. Poi evidentemente decideranno il Comitato direttivo centrale e la Giunta esecutiva centrale dell’Anm. La nostra contrarietà si è già cristallizzata con lo sciopero. Dopo l’approvazione della riforma si aprirà un dibattito democratico in cui cercheremo di essere presenti. Più che di scioperi parleremo di iniziative di comunicazione in tutte le sedi non per fare un’attività anti governativa, come forse a qualcuno farebbe piacere, ma per parlare delle ricadute di questa riforma. So che non farà facile e che molte persone hanno un’immagine della magistratura negativa, ma provare a spiegare alla gente come stanno le cose dalla nostra visuale penso sia l’unica possibilità di avere un referendum basato su un confronto democratico”.
Passiamo al tema delle intercettazioni. Recentemente è stata approvata una legge che fissa a 45 giorni il limite per realizzare le intercettazioni, salvo alcune deroghe (come i reati di mafia, terrorismo e quelli contro la Pa). Il termine può essere superato se dalla prima fase di indagine sono emersi “elementi specifici e concreti” che confermano l’indispensabilità delle intercettazioni. Al di là dei contenuti di questa riforma, condivide l’impressione che in Italia ci sia un ricorso eccessivo alle intercettazioni da parte della magistratura?
“Le intercettazioni sono atti del pubblico ministero che in tutti i casi vengono autorizzati da un giudice, quindi l’espressione ‘ce ne sono troppe’ non ha particolare significato. Bisognerebbe chiedersi se sono giustificate o se non sono giustificate. Se sono giustificate non saranno mai troppe. Questo chiama in causa il rapporto tra pm e giudice delle indagini preliminari. Allo stato i giudici hanno sempre ritenuto di accodarsi alle richieste delle procure, ma le posso assicurare che ci sono anche dei casi in cui questo non avviene, solo che questi non fanno notizia. E’ però difficile avere dati su questo punto.
Se vogliamo approfondire il tema della capacità critica del giudice rispetto al pm, questo non è un discorso che a noi fa paura. A me, pubblico ministero, fa piacere che il giudice eserciti un’attività critica, che conosca gli atti e in qualche modo mi dia una mano a non commettere errori. Però, visto che ci sono dei casi in cui le attività di intercettazione non vengono prorogate, bisognerebbe andare a vedere in quali casi i giudici sono portati in maniera un po’ ripetitiva ad autorizzare.
“Con la separazione delle carriere
c’è il rischio di un pm sottoposto all’esecutivo, anche se la riforma non lo prevede”.
Intercettazioni?
“Se sono giustificate non sono mai troppe.
La politica
ha paura delle captazioni nell’ambito della Pa”.
Contro l’emergenza
carceri
“servono soluzioni immediate”
Diciamo le cose come stanno: il vero punto riguarda i reati contro la Pubblica amministrazione. Al di là dell’ipotesi singola da cui si parte per le intercettazioni nel caso specifico, è chiaro che ascoltando pubblici amministratori, funzionari e imprenditori una possibilità teorica di incappare in altre situazioni di interesse investigativo ci può essere. Questo secondo me è ciò che fa paura alla politica: avere uno spiraglio aperto sul mondo della politica da cui possono nascere ulteriori filoni non necessariamente vincolati all’ipotesi iniziale”.
Insomma, secondo lei una parte della politica ha paura delle intercettazioni.
“Direi che valuta con estrema delicatezza le captazioni in ambito dell’attività amministrativa. Anche la previsione dell’uso dei trojan per i reati contro la Pa è stato un passaggio molto sofferto, infatti ipotizzo che in un futuro neanche troppo lontano ci possano essere dei momenti di ripensamento anche su questo, che assolutamente non auspico”.
Presidente, mi perdoni, ma è noto a tutti gli operatori del settore giustizia, e persino ammesso da numerosi magistrati, che l’accoglimento da parte del gip della richiesta del pm di proroga delle intercettazioni è nei fatti quasi un automatismo. Non è ipocrita ignorare questo dato?
“Questa domanda necessita di una risposta sotto due profili. Il primo profilo è strettamente tecniconormativo: da 4-5 anni, cioè da quando sono stati creati gli archivi informatici delle intercettazioni, non vengono più mandati direttamente i file, ma il giudice come tutte le altre parti deve andare ad ascoltare i file delle intercettazioni nella saletta riservata in caso di richiesta di proroga alle intercettazioni. Dopodiché però, attenzione, nelle richieste è difficile pensare che il pubblico ministero o la polizia giudiziaria scrivano qualcosa di diverso da ciò che è stato intercettato e trascritto. Quindi anche se non c’è un controllo formale del gip, mi creda sarebbe una follia se il pm o la pg riportassero circostanze non vere negli atti. Questo è il vero problema e lo possiamo accantonare. Quello che lei dice e cioè quanto è la valutazione critica specifica che i giudici fanno sulle varie inchieste, anche qui bisogna distinguere due momenti. Sulla prima richiesta di autorizzazione alle intercettazioni ritengo ci sia una valutazione rigorosa e molto articolata da parte del giudice sulla base della gravità del fatto o dell’ipotesi di reato. L’attenzione potrebbe scendere sulle proroghe. Ma procediamo dal punto di vista logico. Si è valutato all’inizio in maniera approfondita un determinato contesto criminale. Dopo la prima valutazione, soprattutto se il giudice ha una quantità di lavoro eccessiva, ci può essere una tendenza a esaminare con meno attenzione le richieste di proroga, ma perché l’attenzione su quella vicenda è stata concentrata all’inizio quando c’era una prospettiva grave di reato. Dico sempre che la qualità dipende dalla quantità. Giustamente i cittadini richiedono una giustizia di qualità, ma questa richiede un tipo di impegno in termini di personale, tempo e risorse che purtroppo noi non abbiamo. Questo lo dico chiaramente. E credo che il problema dei gip sulle proroghe alle intercettazioni non derivi da una cattiva volontà o da una passività del giudice al pm, ma dall’alto numero di casi che si trovano ad affrontare con risorse non sufficienti. Lo stesso vale per il tema delle misure cautelari”.
Il problema della carenza di risorse nell’ambito giudiziario è innegabile, ma non è un po’ eccessivo attribuire a questo problema tutte le ragioni dell’adesione quasi automatica del gip alle tesi dei pm nella fase delle indagini?
“Mi spiace dire una cosa che lei non condivide,
ma se parliamo di atteggiamento dei giudici nella fase delle indagini le devo dire che nella mia personale percezione in larghissima misura la carenza di tempo, mezzi e risorse condiziona il lavoro dei colleghi”.
Il tema delle indagini preliminari è strettamente legato a quello delle ingiuste detenzioni. Dal 1992 a oggi si sono registrati oltre 30 mila casi di ingiusta detenzione: una media di mille all’anno, tre ogni giorno. Per un totale di circa un miliardo di euro di indennizzi pagati dallo stato. A questi si aggiungono oltre 200 errori giudiziari (persone condannate in via definitiva e poi assolte dopo un processo di revisione). Qual è la sua reazione di fronte a numeri così imponenti?
“La prima reazione è di chiarezza: confondere gli errori giudiziari con le ingiuste detenzioni è un metodo completamente errato. Stiamo parlando di due categorie che hanno punti di contatto ma che sono assolutamente distanti. Detto ciò, ci sono in questo periodo proposte per modificare i criteri per riconoscere il risarcimento per ingiusta detenzione”.
Il presidente Parodi sembra riferirsi alla proposta avanzata da alcuni parlamentari di centrodestra di eliminare la “colpa grave” dalle ragioni che impediscono di ottenere il risarcimento per ingiusta detenzione. Oggi infatti a molte persone che hanno subìto un’ingiusta detenzione non viene riconosciuto l’indennizzo qualora il giudice ritenga che questi con la loro condotta “ambigua” abbiano in qualche modo contribuito all’ingiustizia subita (per esempio frequentando soggetti coinvolti in attività illecite, magari senza neanche saperlo).
“La prospettiva di cambiamento è quella di dire che non c’è nessun obbligo di collaborazione per escludere il concetto di ingiusta detenzione. Di fatto però in molti casi un atteggiamento diverso avrebbe evitato delle ingiuste detenzioni. E’ vero che il pm deve dare la prova della responsabilità, ma è anche vero che in una certa prospettiva bisogna avere un atteggiamento collaborativo ed evitare situazioni che poi si riflettono in questi termini. Il dato numerico delle ingiuste detenzioni è sicuramente elevato. Bisognerebbe però disaggregare sul piano statistico questo dato: in quali contesti si è verificato con maggiore frequenza l’ipotesi di ingiusta detenzione? Io non ho un dato statistico ma credo che in moltissimi casi siano riconducibili a ipotesi di criminalità legata al traffico di stupefacenti e alla criminalità organizzata”.
Questa cosa però non è confortante. Il dato rimane… “Certo, però stiamo parlando di settori in cui i margini di valutazione sulla responsabilità sono magari differenti rispetto ad altri e in cui pesa il tema della carenza di risorse. Non dico che tutte le ingiuste detenzioni sarebbero evitabili, ma sicuramente la possibilità di andare a fondo dei singoli casi, specialmente se parliamo di contesti associativi molto complessi da ricostruire, fa la differenza. E’ di nuovo purtroppo un problema di risorse, di capacità di investire sulle singole indagini, specialmente se parliamo di fascicoli con un numero elevato di indagati. Gli omicidi sono una cosa, ma il discorso è diverso se parliamo delle indagini contro la criminalità organizzata: in questi casi è rilevante la possibilità di andare a fondo della ricostruzione di questi contesti criminali e quindi di arrivare al momento in cui io decido se richiedere una misura cautelare sapendo che quel soggetto magari non è soltanto vicino a una determinata cosca ma lo è in termini tali da giustificare una privazione della libertà”.
A prescindere dalle statistiche, un magistrato come lei ha percezione di come cambia la vita di una persona accusata ingiustamente per cinque, sei, dieci anni? A livello umano cosa si sente di dire a chi è vittima di un’ingiusta detenzione e a coloro che di fronte a queste vicende perdono la fiducia nella giustizia?
“Prima di tutto, io non ho detto che non esistono gli errori giudiziari. Purtroppo ci sono. Io sono molto vicino alle persone che hanno subìto errori giudiziari. Lo sono meno a chi sfrutta questi errori per accusare in maniera generica e strumentale l’intera magistratura. Sono vicinissimo a chi ha subìto un torto magari grave in questo senso, ma non dimentichiamoci che sono però dei casi singoli e se andiamo a vedere i numeri globali dell’attività giudiziaria le percentuali non depongono per un sistema che sia così ricco di casi di errori giudiziari. Questo non toglie che il singolo errore giudiziario è qualcosa di estremamente doloroso. Devo però dire che bisognerebbe andare a vedere perché si è verificato quell’errore. Se è per negligenza, per esempio perché il pm non ha voluto seguire delle indicazioni che avrebbero potuto portare a una risposta diversa, è un conto. Se invece, faccio un altro esempio, il pm non aveva a disposizione strumenti scientifici e investigativi che si sono evoluti nel tempo e che all’epoca magari non c’erano e poi dopo vengono trovati, mi scusi ma la situazione è molto diversa. L’errore giudiziario può anche derivare da una prova del Dna che 20 anni fa
“Sulla prima richiesta di autorizzazione alle intercettazioni il gip svolge una valutazione rigorosa. L’attenzione potrebbe scendere sulle proroghe. Ma non è un problema di cattiva volontà o di passività al pm: dipende dalla quantità di lavoro eccessiva e dalla carenza di risorse” “Il dato sulle ingiuste detenzioni è sicuramente elevato. Bisognerebbe però disaggregarlo sul piano statistico: in quali contesti si verificano con maggiore frequenza? Credo che moltissimi casi siano riconducibili a ipotesi di criminalità legata al traffico di stupefacenti e alla criminalità organizzata” non c’era e che solo oggi può essere valutata. La prima parte della sua domanda mi interessa molto perché è legittima ma profondamente ingiusta. Io conosco delle persone che hanno sofferto molto per delle vicende giudiziarie. Le conosco molto bene. Non è vero che noi non abbiamo una percezione di questa situazione. Sappiamo perfettamente cosa vuol dire vivere una vicenda giudiziaria con la convinzione di essere innocenti, subendo magari anche una forma di detenzione. Conosco molto bene delle persone che credo siano in qualche modo vittime di errori giudiziari e quindi so perfettamente che cosa vuol dire e sono vicino a queste persone. Credo che come me anche altri colleghi possano capire esattamente queste situazioni. Anzi, se mi consente una battuta ce l’ho fin troppa questa percezione, ma purtroppo non posso fare nulla perché rispetto il lavoro dei miei colleghi”.
A fronte di oltre 30 mila indennizzi per ingiusta detenzione, per una spesa di circa un miliardo di euro, risulta che negli ultimi trent’anni la Corte dei conti ha intrapreso una sola azione di rivalsa per danno erariale nei confronti di un magistrato, recuperando la somma di 10 mila euro. Vista questa paradossale situazione, il deputato di Forza Italia Enrico Costa ha depositato una proposta che dispone che gli atti della riparazione per ingiusta detenzione vengano trasmessi al procuratore generale della Corte dei conti per l’esercizio, da parte dello stato, di un’azione di rivalsa nei confronti di colui che ha causato la carcerazione non dovuta, analogamente a quanto è oggi previsto dalla legge Pinto per le riparazioni riconosciute in seguito alla violazione del termine ragionevole del processo. Condivide questa proposta?
“Mi sembra che questo disegno di legge cada in un momento storico in cui mi pare che le iniziative dirette a stringere la morsa sui magistrati siano molto gradite, quindi in una certa ottica non mi stupisce. Però dico anche questo: se è una procedura già prevista dal sistema e che non viene applicata, intanto non è colpa dei magistrati, e poi bisognerebbe chiedere spiegazioni del perché non viene applicata a chi avendo la possibilità di avviare queste azioni non l’ha fatto, come il ministero dell’Economia o la Corte dei conti”.
L’emergenza carceraria non accenna ad attenuarsi. Negli ultimi mesi, di fronte all’aumento del sovraffollamento negli istituti di pena e ai numeri record dei suicidi tra i detenuti (90 nel 2024, già 32 nel 2025), c’è chi ha segnalato alla politica l’opportunità di adottare provvedimenti di clemenza come amnistia e indulto. Di recente, il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha aperto alla proposta sulla liberazione anticipata speciale avanzata da Roberto Giachetti. Qual è la posizione dell’Anm su queste proposte?
“Tutta la magistratura è estremamente attenta a questo tema che vede una situazione di profondo disagio non soltanto dei detenuti ma di tutti coloro che operano nel mondo carcerario. Noi ci limitiamo a far presente l’assoluta necessità di intervento. La situazione è talmente grave che mi verrebbe da dire che qualsiasi soluzione sarebbe da prendere in considerazione, perché stiamo parlando di 12 mila persone in più rispetto alla capienza regolamentare nelle carceri. Senza pensare poi al problema dell’assistenza sanitaria di questi detenuti, che in molti casi è assolutamente non ai livelli che sarebbero auspicabili, così come al problema delle Rems: abbiamo persone che necessiterebbero di cure psichiatriche ma che per carenza di posti nelle Rems sono costrette a stare in carcere. Questi sono i temi che noi abbiamo avanzato al ministro della Giustizia Nordio, sapendo che a dare le risposte devono essere il governo e il ministro stesso”.
“E’ preoccupante la decisione della maggioranza di velocizzare l’approvazione in Parlamento della riforma costituzionale. L’Anm non è il garante delle procedure parlamentari? Lo siamo nel momento in cui siamo un gruppo portatore di interessi” “Sappiamo che la riforma non prevede la sottoposizione del pm all’esecutivo, ma questo è ciò che è accaduto negli altri paesi.
L’adozione delle leggi attuative sarà una fase importantissima. Siamo sicuri che un Csm dei pm non porterà a un’impostazione generale fortemente accusatoria?”