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Goffredo Fofi è stato una delle voci più libere e coerenti della cultura italiana. La sua vita, cominciata davvero nel 1955 quando partì da Gubbio per raggiungere Danilo Dolci in Sicilia, è stata un lungo viaggio attraverso i territori della giustizia, dell’educazione, della cultura e della critica sociale. Fu lì, a Palermo, che si formò davvero: insegnò ai bambini poveri senza stipendio, lottò con i contadini, e per questo fu espulso come “sovversivo”. Ma quel gesto, che chiamava con orgoglio “delitto d’alfabeto”, divenne il simbolo di tutto ciò che avrebbe fatto dopo: mettere la cultura al servizio degli ultimi.
Non era un intellettuale accademico. Era un autodidatta, ma di quelli che leggono tutto e pensano sempre con la propria testa. Il suo sguardo era radicale, ma mai dogmatico. Militava nei valori, non nei partiti. Scrisse di cinema, di scuola, di emarginazione, sempre con la stessa passione civile. Fondò riviste come Quaderni Piacentini, Ombre Rosse, Lo straniero e Gli asini, tutte animate da una stessa urgenza: capire il presente e raccontarlo senza compromessi.
Ha scoperto e sostenuto voci che sarebbero diventate centrali: da Saviano a Ciprì e Maresco, da Baricco a Nino D’Angelo, che lui difendeva come vera voce del sottoproletariato napoletano. Non temeva di andare controcorrente. Con Pasolini il dialogo fu spesso acceso, ma sempre profondo. Di Totò fu tra i primi a cogliere la grandezza, quando ancora era snobbato dalla critica.
Fofi ha incarnato un’idea di intellettuale militante ormai rara. Rifiutava l’idea della cultura come spettacolo e detestava la superficialità dei festival letterari. Diceva che il compito degli intellettuali era “vedere per primi”, come Zaccheo nel Vangelo. Costruire ponti, traghettare idee, collegare generazioni, territori, mondi diversi. La cultura, per lui, non era intrattenimento ma responsabilità.
Negli ultimi anni, pur stanco e malato, non ha mai smesso di scrivere. Alla domanda se avesse bisogno di qualcosa, rispose: «Solo un po’ di socialismo». Un modo per dire che non aveva mai perso di vista il suo orizzonte: giustizia, eguaglianza, umanità.
Goffredo Fofi è stato un uomo che ha attraversato il Novecento come un viandante del pensiero, con una lanterna accesa e il passo leggero. Ci lascia un esempio raro: quello di chi ha saputo unire cultura e vita, pensiero e azione, con coerenza e ironia. E soprattutto ci lascia una domanda: chi raccoglierà la sua eredità?