di
Fiorella Minervino
L’ironia affiora spesso irriverente nel grande spagnolo, fin nelle opere commissionate da sovrani, nobili, prelati: dettagli un po’ esasperati, bizzarrie di chi lo sovvenziona. Un giogo arduo per uno spirito libero che da giovane, nel 1785, si ritrae a figura intera, pennello e tavolozza in mano, elegante giacchetta nei medesimi colori, uso inconsueto della luce, anzi del controluce che dilata la profondità, una scrivania a tributo di amici letterati e omaggio al carattere illuminato della sua professione; una scena rara per un artista al lavoro. Le regole neoclassiche del bello e decoro sono già il ricordo. Francisco José de Goya y Lucientes (1746-1828), primo pittore di corte e direttore della Real Academia, è dotato di spirito ribelle pronto a esprimere emozioni davanti alla realtà che osserva: guerra, furori, orrori, sofferenze, soprusi, violenze, povertà. Il secolo si conclude, i conflitti assediano l’Europa, lui vive la fine dell’Ancien Régime, Rivoluzione francese e Illuminismo, guerre napoleoniche, Restaurazione assolutista, l’esilio a Bordeaux dove muore cieco. L’empatia sociale si affina, mentre abbandona la pittura di storia di cui è buon interprete inAnnibale vincitore, osserva l’Italia dalle Alpi per la prima volta (1771), eseguito in Italia per un concorso a Parma, toni chiari, buona composizione. Su commissione immortala i potenti, talora con sarcasmo irrituale: Maria Luisa di Parma (1789), figura con magnifica mantella, scollatura ampia e braccia scoperte richieste dalla sovrana, le aggiunge un neo, e quel cappello immenso tutto nastri e piume sopra un viso di scarsa attrattiva, dal risultato caricaturale. Re Carlo VI, imbellettato e con parrucca incipriata, merletti e raso a profusione, fiero delle decorazioni, inalbera un’aria più imbambolata che imponente. Altrove, rose, calendole, ranuncoli, margheritine per laPrimavera (1786), bozzetto d’una serie per la sala da pranzo del futuro Carlo VI, offre uno scenario idilliaco della campagna; ma in agguato c’è l’inganno: il contadino distrae la bimba con un coniglietto, complice la giovane a terra, per frodare la graziosa dama e la figlia.
Questo è altro racconta la mostra al Palazzo Reale di Milano, Goya, la ribellione della Ragione (fino al 3 marzo) in collaborazione con la Real Academia de Bellas Artes San Fernando di Madrid e Gruppo 24 Ore Cultura, curata da Victor Nieto Alcalde, il quale precisa che non si tratta di una personale, bensì d’un ritratto politico, umano, psicologico dell’illuminista che sa registrare i suoi stati d’animo e le ingiustizie del mondo e addita iCaprichos e iDesastres de la guerra, a esiti del suo razionalismo umanista. Goya critica le condizioni sociali, politiche, morali, così come la pittura; apre alla modernità. Tutto si tramuta in un’arte nuova, contro il culto della forma e i classici, capace di raccontare le contraddizioni contemporanee nel linguaggio inedito, pennellate libere, dinamiche. Qui non compaiono i capolavori celebri, ma 70 opere, alcuni dipinti in dialogo con 19 importanti incisioni, affiancate da 11 matrici in rame, fresche di restauro. Tecnica di cui Goya è protagonista. Una dualità di positivo e negativo, luce e buio che si riflette nell’allestimento dello Studio Novembre.
Sette le sezioni a tema, a partire dagli anni giovanili segnati dalla «tirannia del lavoro su committenza», poi nelle tracce del romanticismo introduce soggetti allegorici e onirici, tinte cupe, tratti foschi, fin terrificanti, dove il colore esercita un ruolo centrale, specie il nero, drammatico, sinonimo di dolore, per fissare turbamenti interiori: un esempio è il famoso Capriccio n. 43: Il sonno della ragione genera mostri, istigato da un letterato al rientro di Londra, realizza nel 1797 il frontespizio dei Sueñoscon l’artista che dorme chino sul tavolo, intorno animali mostruosi, specie colossali pipistrelli dagli occhi umani; l’autore scrive che il suo intento è «di bandire volgarità dannose e di portare avanti, con questo lavoro di capriccio, la solida testimonianza della verità». Associato alla notte, diffuso era il tema del sogno che scatena l’immaginazione; per lui è la via a una visione critica e protezione da eventuale censura.
Un artista complesso fra i primi a narrare la guerra fuori da toni elogiativi, per dare vita e fiato a orrori in diretta, da vero cronista, non lontano da ciò vediamo oggi sugli schermi tv. Già aveva mostrato l’attenzione ai bambini, come Bruegel, ma sottolinea in minuscole tele come neppure l’infanzia sia risparmiata, i bimbetti giocano ai soldati, miseramente vestiti, in gara per un premio, scalzi e stracciati anche quando cercano i nidi o giocano alla cavallina. Alla corrida, ai pericoli dentro l’arena, dedica intense acqueforti, fin con la morte del toreador, e pubblico spesso assente, scene registrate da vicino. La Chiesa corrotta non si salva, tanto meno l’Inquisizione. Del 1808 èIl Colosso, dipinto attribuito a Goya, forsesimbolo degli scontri che sperimentò: svariate interpretazioni fioriscono intorno al gigante, di spalle, che forse prende a pugni l’idea di conflitto fra gli uomini. Nei Desastres de la guerra (1810-14), le sue stampe sono cronaca di efferatezze da entrambe le parti: crudeltà, fame, morte sono la quotidianità. Con o senza ragione è una stampa legata ai fatti avvenuti a Madrid nel maggio 1808: sul fondo un gruppo di spagnoli uccide un soldato francese, in primo piano popolani ribelli in bastoni affrontano le baionette degli invasori. Una scena turba i nostri animi, durante la guerra d’indipendenza che coinvolge la popolazione, Stragi di guerra (1810-1814) è l’interno di una casa durante un bombardamento: violenza e dramma in uno spazio chiuso, le persone vengono scagliate per aria con gli arredi della stanza. È un precedente diGuernica di Picasso.
L’autoritratto del 1815, a 69 anni, rinvia un uomo sereno pur dopo la morte della moglie e la perdita di sei figli. Nel 1819, ormai cieco, dopo una malattia affida al buio riflessioni sulla, morte, destino, malvagità, le famose Pitture Nere ora al Prado. Al termine del triennio liberale va in Francia per cure termali, in esilio vive a Bordeaux con altri illuministi esiliati. Muore nel 1828.