Ratzinger ha condiviso con Habermas la prospettiva «postsecolare» e cioè l’idea che per le società contemporanee sia da abbandonare la classica narrazione della modernità come secolarizzazione, disincanto, abbandono della religione ai margini della società, o suo confinamento alla sfera privata. Entrambi hanno visto positivamente la possibilità che dal dialogo tra la ragione pubblica e la fede entrambe le parti potessero trarre dei benefici o, ancora di più, che potessero attivarsi processi di «reciproco apprendimento». Ed hanno pronunciato entrambi questa parola — che da allora è entrata in circolazione — durante un incontro che avvenne a Monaco nel gennaio del 2004 all’Accademia Cattolica di Baviera, un anno e pochi mesi prima che il cardinale diventasse Papa. I discorsi che pronunciarono ( raccolti in Ragione e fede in dialogo, Libri di Reset-Marsilio, 2004) avevano importanti e originali punti di convergenza.
Habermas apriva l’incontro con la celebre questione posta dal giurista tedesco Ernst- Wolfgang Böckenförde: lo Stato liberale e secolarizzato si nutre di premesse normative che esso da solo non può garantire (perché se predicasse qualche forma di etica non sarebbe più liberale). È dunque possibile che la religione possa fornire ancora riserve di moralità. Questo supporto supplementare al progresso civile e giuridico era già stato del resto codificato da John Rawls nell’opera della sua maturità, Liberalismo politico, quando si era reso conto che non poteva escludere dalla storia e dalla teoria della giustizia l’esperienza delle mobilitazioni religiose che avevano consentito l’affermazione dei diritti civili. Ratzinger da parte sua accoglieva l’idea di una reciproca limitazione tra ragione e fede, che nel caso della seconda tenesse a freno le spinte fondamentaliste, e nel caso della prima offrisse dei riferimenti morali utili a impedire sconfinamenti dagli esiti incontrollabili della scienza e della tecnica. Lui, nemico acerrimo del relativismo, che avrebbe poi stigmatizzato nell’omelia per l’apertura del conclave, che lo avrebbe eletto pontefice nell’aprile del 2005, si apriva qui, di fronte ad Habermas, ad una prospettiva interculturale, che riconosceva come sia il cristianesimo sia la razionalità occidentale non potessero pretendere di rappresentare una assoluta universalità, e come essi fossero il prodotto di un contesto storico determinato. Ragione per cui occorreva dialogare con altri contesti, musulmano, buddista, induista, tutti attraversati da tendenze devianti e radicali, ma anche da controtendenze aperte alla razionalità e alla tolleranza. Per questi aspetti l’eredità di Ratzinger è indubbiamente contraddittoria. Fu lui, prefetto della fede, a concludere il processo al Sant’Uffizio al teologo pluralista belga Jacques Dupuis, con una notificazione che denunciava i pericoli del dialogo tra le religioni, perché il dialogo rischia di mettere in secondo piano l’annuncio evangelico, dell’unica verità di fede ammissibile ed autosufficiente. Fu lui a far sottoscrivere a Giovanni Paolo II il documento «Dominus Iesus», del 2000, che sembrava vistosamente arretrare rispetto alle conquiste del Concilio Vaticano II.
Ma è pur vero che è stato pur sempre lui a scrivere queste pagine dell’incontro di Monaco, così come quel discorso mai pronunciato alla Sapienza di Roma, nel 2007, in cui tracciava coraggiosamente il suo messaggio di capo della Chiesa cattolica come portatore di un contributo di «umanesimo» alla vita collettiva. Offriva al mondo laico non «tutta l’offerta» del cristianesimo, ma il suo nucleo umanistico. Lo faceva con la passione teologica, di chi sapeva estrarre dalla dottrina cristiana i valori condivisibili dalla ragione pubblica, ma anche con la competenza filosofica di chi aveva assorbito la lezione di Habermas e anche quella di Rawls, il filosofo americano che stava esplicitamente al centro di quel discorso. Vi era chiara la distinzione tra dottrine comprensive, proprie di ogni religione, per esempio tutta la dottrina e la dogmatica cristiana, con tanti elementi «eccedenti» che fuoriescono dall’area ragionevole di una condivisione con altre fedi e culture secolari, e nuclei di umanesimo che si possono sostenere in comune: l’area di sovrapposizione (di «overlapping», come la chiamava Rawls). È paradossale che il discorso di Benedetto XVI più vicino alla filosofia liberale sia stato il bersaglio di una campagna di boicottaggio, nel nome della libertà della scienza, che avrebbe sicuramente meritato miglior causa.