
Digest strategico – 14 ottobre 2025
14 Ottobre 2025
Una tregua dai volti illusori
14 Ottobre 2025HAMAS E LA CONCORRENZA DELLE MILIZIE “PILOTATE”: SI APRE LA CORSA PER LA LEADERSHIP DELLA VIOLENZA
L’analisi
Non appena i droni e i caccia israeliani hanno abbandonato il cielo, i fucili di Hamas sono riapparsi con ostentazione fra le strade distrutte di Gaza. In mano a uomini che hanno rispolverato l’uniforme blu della polizia o indossato il simbolico nero degli abiti civili, anonimi nel passamontagna, gli eterni Kalashnikov hanno repentinamente puntellato lo spazio geografico e sociale del potere, che non ammette vuoti, e offerto la prima linea di contenimento al potenziale dilagare del caos. Un messaggio ha raggiunto i telefoni di almeno 7mila membri delle forze di sicurezza, invitandoli a riaffermare il controllo delle aree appena abbandonate dalle truppe israeliane, con lo scopo, riportano fonti locali, di «ripulire Gaza dai fuorilegge e dai collaboratori di Israele». Il movimento islamico ha nominato inoltre cinque nuovi governatori, tutti caratterizzati da curriculum militare.
Durante la fase più acuta dell’operazione “Carri di Gedeone 2”, la tenaglia di bombardamenti e demolizioni che ha lentamente strangolato Gaza City, i servizi segreti israeliani ritenevano che nella capitale dell’enclave si nascondessero circa 7.500 miliziani, 5.000 di Hamas e 2.500 della Jihad islamica. Impossibile quantificare oggi il numero totale dei combattenti nella Striscia, quello di coloro che si uniranno alla “resistenza” nella precaria fase di gestione della tregua. Presto si dissiperà l’effimero trionfalismo delle diplomazie, l’entusiasmo per gli ostaggi liberati, la festa dei prigionieri palestinesi accolti nel grembo della folla.
Resterà, solido e ineludibile, il problema fondativo di ogni potere, il monopolio della violenza. Un assaggio di anarchia si è avuto domenica, quando 300 uomini di Hamas hanno circondato il quartiere di Tel al-Hawa, a Gaza City, base operativa del potente clan Dughmush, ritenuto responsabile della morte di due miliziani, freddati nella giornata di sabato. Lo scontro a fuoco si è concluso con l’uccisione di 19 membri del clan e di otto uomini delle brigate al-Qassam. In marzo, poco prima che Tel Aviv violasse la tregua, Hamas ha ucciso uno dei leader della famiglia, accusato di collusione con Israele. Negli stessi giorni, in tutta la Striscia, per la prima volta in venti anni, centinaia di giovani percorrevano le strade inneggiando alla fine del regime, scena mai vista nel corso dei cinque conflitti precedenti. Durante la guerra l’esercito israeliano e lo Shin Bet hanno fatto largo uso delle milizie gazawi. La più nota e manifesta, tanto da aver esibito sui social network un tariffario per attrarre nuovi mercenari, è quella di Abu Shebab. Riforniti di armi, sciolti nel vasto territorio occupato, hanno dirottato i camion degli aiuti, ispezionato edifici sospetti e tunnel, affittato i polverosi lotti nelle tendopoli degli sfollati. Soprattutto a Rafah e Khan Yunis, terminato l’addestramento, sono lentamente scivolati fuori dal controllo dell’esercito israeliano. Antico strumento, quello della collaborazione, valido nell’immediato quanto nel futuro, seme di vendetta, disordine, divisione e quindi malleabilità. Impercorribile è la cartografia delle affiliazioni clanico-politiche della Striscia. Il ventennale regime di Hamas offre però faglie prima inesistenti. I potentati costretti alla lunga quiescenza potrebbero essere tentati alla ribellione dal sostegno esterno, da un crollo del supporto popolare per il movimento islamico che tutte le indagini statistiche descrivono come verticale. Come si comporterà Fatah, cioè l’Autorità palestinese, che ha nel silenzio, con ostinazione, mantenuto una presenza non trascurabile nella Striscia?
Dopo l’ascesa e il declino, tornerà Hamas a farsi movimento politico-religioso dedito alla creazione di un’egemonia culturale, come negli anni che hanno preceduto la prima Intifada?
Entrerà finalmente nell’Olp, disarmandosi quando i fantasmatici contingenti di pace internazionali avranno garantito un’equa cornice di sicurezza? Per i dirigenti, su cui grava la responsabilità di aver scagliato la popolazione nell’ennesima catastrofe, la nascita dello Stato potrebbe costituire l’unico, sanguinoso risultato da esibire davanti al tribunale della storia, il salvacondotto per la sopravvivenza politica del movimento. La forza, quindi, i fucili fra le mani, perché nella devastazione, nell’onnipresenza del dolore, possa avviarsi, sotto parziale controllo palestinese, il lungo e travagliato processo, forse per la prima volta accompagnato da una ridestata comunità internazionale. Intorno, naturalmente, l’ambiguità americana, e il perentorio diniego del governo israeliano.