Il fronte
Daniel Hagari
tel aviv
Uomini spogliati, le mani a cingersi la nuca in segno di resa, ma anche per nascondersi dalla camera che li riprende. Lasciati in mutande, per la perquisizione. Seduti a terra, in file di quattro.
In silenzio con la testa tra i gomiti, in mezzo a una strada deserta, sotto lo sguardo e il tiro dei soldati. In scatti ulteriori, altri uomini sono in ginocchio, sui marciapiedi, in fila lungo i muri di palazzi appena bombardati. Salgono ancora colonne di fumo tra gli isolati. Sono scalzi e le loro calzature sono sparse in mezzo alla via. Stanno per essere caricati, con i polsi ammanettati dietro la schiena, sul retro delle jeep militari che li raduneranno, come mostra ancora un’altra fotografia, tra le dune di sabbia da qualche parte nella Striscia settentrionale. Per il portavoce militare israeliano Daniel Hagari sono «terroristi di Hamas» che «si arrendono» nell’area di Jabalia e che l’esercito trattiene per controllare chi è collegato alla fazione palestinese. Comunque, per interrogarli tutti.
L’arresto di massa ha scatenato reazioni viscerali in entrambi i fronti. C’è chi ci legge sconfitta e umiliazione. Già circolano le foto dei commando della Nukhba armati e in divisa sui pickup il 7 ottobre messe a confronto con quelle del 7 dicembre dei palestinesi spogliati e ammanettati sulle jeep militari israeliane. Sui social palestinesi qualcuno afferma che si tratterebbe di civili sfollati, arrestati dai soldati di Tsahal. Un residente di Beit Lahia ha detto ad Haaretz che l’esercito ha arrestato tutti i giovani della zona, compresi i civili.
Il nord è ancora uno dei punti focali dell’azione e per gli analisti militare lo resterà ancora per i prossimi giorni. Ci sono stati scontri a Jabalia, dove continuano a emergere, nascosti tra costruzioni civili, ingressi per i tunnel sotterranei. Il municipio e la moschea Al-Huda sono stati distrutti. Il network televisivo qatarino Al Jazeera ha riferito che uno dei suoi giornalisti ha perso 22 membri della famiglia in un attacco israeliano nel campo profughi.
Un altro luogo simbolico è stato preso da Israele, con i tank che sono entrati in piazza Palestina a Shejaiya, quartiere della City, teatro di uno dei rilasci di ostaggi israeliani da parte di Hamas, la settimana scorsa. Negli scontri ravvicinati, Israele ha registrato ieri la perdita di sette soldati, in varie battaglie a Gaza. Tra loro anche Gal, il figlio 25enne del ministro del gabinetto di guerra ed ex capo di stato maggiore dell’esercito Gadi Eisenkot.
L’azione militare è avanzata anche al sud, a Khan Yunis, dove i droni di Tsahal hanno colpito una cellula di jihadisti emersa in superficie da un tunnel. Qualche giorno fa, ma la notizia è stata ufficializzata ieri, forze armate e Shin Bet, i servizi interni, hanno eliminato due agenti dell’intelligence di Hamas nella Striscia di Gaza. Dei due, Abdel Aziz Rantisi aveva partecipato, dice l’esercito, alla raccolta di informazioni per pianificare il massacro del 7 ottobre.
Dopo che Israele completerà il grosso delle attività nel nord, Khan Yunis resterà campo di battaglia ancora per qualche settimana, a detta degli esperti militari. A quel punto, evidenzia Amos Harel nella sua analisi per Haaretz, si porrà la questione se lanciare un’operazione di terra anche a Rafah, in prossimità del confine egiziano, con il Cairo già a tutti gli stadi per il timore di pressioni al valico di frontiera.
Pensare di mitigare la crisi umanitaria, stando ai numeri diffusi da Hamas dei morti (oltre 17 mila), dei dispersi (7.700) e dei feriti (più di 46 mila), sembra una causa persa. Il direttore dell’Oms denuncia a Gaza un sistema sanitario «in ginocchio». Israele, che deve mostrare il massimo della buona volontà agli Stati Uniti per comprare più tempo per portare avanti la missione di sradicare Hamas dalla Striscia e liberare i restanti 138 ostaggi prigionieri a Gaza, ha annunciato che riaprirà, per la prima volta dallo scoppio della guerra, il valico di Kerem Shalom, in appoggio a quello di Nitzana, per snellire il processo di ispezione dei convogli di aiuti umanitari. Che però continueranno ad accedere esclusivamente da Rafah. E il gabinetto di sicurezza ha approvato un aumento, da quantificare strada facendo, della fornitura quotidiana di carburante per scopi umanitari. Una netta inversione di rotta rispetto alla posizione di Israele precedente il cessate il fuoco di fine novembre.
Sul fronte nord, al confine con il Libano, un agricoltore israeliano è stato ucciso ieri, colpito nella sua auto da un missile anticarro di Hezbollah puntato sul villaggio di Matat. Il premier Benjamin Netanyahu, in una visita sul campo con il ministro della Difesa Yoav Gallant e il Ramatkal Herzi Halevi, ha messo in guardia Hezbollah dal decidere di aprire una guerra totale. Altrimenti, ha avvertito, «con le sue stesse mani trasformerà Beirut e il sud del Libano, in Gaza e Khan Yunis».
Alle famiglie degli ostaggi, che cercano di trovare sempre nuove iniziative per fare pressione sull’opinione pubblica e sul governo, ieri è toccato di accendere – nella ormai “loro” piazza di Tel Aviv – 138 “hannukkiot”, le lampade a nove bracci che scandiscono la festa delle luci, nella sola speranza di illuminare i tunnel dove sono rinchiusi i loro cari.