CORTONA ON THE MOVE
Il progetto “Epitome” di Vic Bakin è tra i lavori selezionati dal festival toscano dedicato all’immagine. Qui il fotografo spiega come il conflitto cambia il suo sguardo
di
Vic Bakin
In Ucraina, dal 2022, la legge marziale impedisce a tutti gli uomini tra i diciotto e i sessant’anni di lasciare il Paese, salvo rare eccezioni con permessi speciali. Negli ultimi mesi, però, ottenere questi permessi è diventato ancora più difficile. Questo perché molte figure legate al mondo della cultura — cantanti, blogger, artisti — una volta partiti, non hanno più fatto ritorno. Così, mentre quest’estate il mio lavoro viaggia per l’Europa, io rimango entro i confini dell’Ucraina. Ma credo che l’arte possa comunque trascendere questi confini, anche se l’artista non è fisicamente presente.
Sono un fotografo autodidatta e vivo a Kiev. Da anni racconto la gioventù ucraina, concentrandomi su comunità queer e sottoculture urbane. Quando la guerra è arrivata anche il mio lavoro è cambiato radicalmente: molti dei soggetti che fotografavo sono stati arruolati per combattere, altri hanno lasciato il Paese per sempre.
Il mio progetto Epitome (che fino ai primi di novembre sarà esposto al festival internazionale di fotografia Cortona On The Move) nato come diario visivo tra il 2021 e il 2023, ha subito una trasformazione profonda. Prima della guerra era incentrato sul passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Attraverso le immagini, volevo raccontare tutte le sfumature, le difficoltà e le contraddizioni di quella fase della vita, quando il mondo si apre davanti a te con tutte le sue possibilità — ma anche con i suoi limiti — e ti senti sopraffatto da emozioni contrastanti. Era un modo per rivivere la mia esperienza personale. Mi interessava soprattutto il tema della trasformazione: come rappresentare quella fragilità tipica della giovinezza insieme all’irrompere della mascolinità, che arriva improvvisa. Come persona queer, mi ha sempre affascinato anche il modo in cui la mascolinità viene percepita nella società ucraina.
Poi la Russia ha invaso l’Ucraina e tutto è cambiato. Ho attraversato un lungo periodo di apatia creativa: mi sembrava inutile fare arte in un momento in cui si trattava solo di sopravvivere. Dopo alcuni mesi molto cupi ho capito che dovevo reagire. Il modo migliore, per me, era iniziare qualcosa di nuovo. Così nella primavera del 2022 ho cominciato a visitare i territori della regione di Kiev appena liberati dall’occupazione russa. Per un anno e mezzo ho girato tra diversi villaggi, fotografando paesaggi, edifici, persone, natura: tutto ciò che mi colpiva. Nel frattempo ho ripreso a stampare in camera oscura, e pian piano questi nuovipaesaggi devastati hanno iniziato a mescolarsi con le immagini che avevo scattato prima della guerra. Col tempo, tutto si è fuso in quell’unico corpo di lavoro: Epitome.
Oggi il progetto è composto soprattutto – ma non solo – da ritratti di giovani uomini sullo sfondo dei paesaggi segnati dalla guerra russa in Ucraina. È un tentativo di riflettere sul passato ed elaborare il presente. Parla di gioventù, di perdita e di conflitto. Potrei definirlo un progetto sulle cicatrici, se vogliamo. È una raccolta di fotografie recenti intrecciate con immagini d’archivio degli ultimi dieci anni. Spesso mi sorprendo di quanto l’archivio possa essere generoso. È come un bel film che puoi rivedere mille volte, trovando ogni volta qualcosa di nuovo, a seconda del tuo umore e del momento in cui lo guardi.
Stampo tutto in camera oscura, che allestisco per uno o due giorni nel mio bagno di quattro metri quadrati.
Fin dall’inizio ho lavorato con l’essenziale: un ingranditore e i chimici. Non avevo nemmeno i vassoi, non ho mai usato le pinze. Ho cominciato in modo molto modesto. Anche oggi quello che conta per me è l’intuizione e l’apertura agli imprevisti. Mi affascinano l’errore, l’incidente, la sorpresa. L’unica cosa che è cambiata è che ora uso obiettivi più professionali per l’ingrandimento. Ma la stampa perfetta, pulita, impeccabile non mi interessa: per me questo è un processo contemplativo, un modo per cercare un significato nella realtà, soprattutto in tempo di guerra.
Tra i miei soggetti preferiti ci sono molti nudi. Mi piace usare la parola “ nudo” così com’è, senza aggiungere “ artistico”, che spesso suona pretenzioso e carico di aspettative estetiche o concettuali. Chiamiamo le cose con il loro nome: nelle mie foto ci sono semplicemente persone nude. Il nudo artistico è un’idealizzazione, un’astrazione. La nudità, invece, è una condizione emotiva e psicologica. È il nostro stato originario, quello in cui siamo venuti al mondo. È un momento di verità, in cui non puoi — e non vuoi — nascondere nulla. E questo mi interessa profondamente: quella totale apertura in cui chi guarda può trovare tutto ciò che desidera. È un terreno fertile per l’immaginazione.