Pierluigi Castagnetti
«Isondaggi di questi giorni sul Pd purtroppo non mi stupiscono, frequento la realtà, che è a disposizione di tutti. Il problema del Pd non è se si allontana Pierluigi Castagnetti, sono gli elettori che se ne sono già andati e continuano ad andarsene. È difficile pensare che se ne siano andati perché il Pd era poco di sinistra, visto che chi è uscito dal partito per andare più a sinistra ha preso l’1,5%. Il problema è nella nostra testa, dobbiamo capire come è cambiato questo Paese».
Castagnetti, ultimo segretario dei Popolari, che portò il suo partito all’alleanza con il centrosinistra fino alla nascita dell’Ulivo, dà voce al disagio dei cattolici dem alle prese con il congresso . Lo fa da “padre nobile” del Pd di cui ancora fa parte, anche se minaccia lo strappo.
Castagnetti, lei ha evocato il rischio di un cambio di Dna del partito, perché?
«Perché il rischio c’è. Ho seguito dall’esterno il dibattito che si sviluppava nella cosiddetta fase costituente e mi ha allarmato. Io sono tra coloro che pensano occorra capovolgere del tutto l’approccio alla crisi del Pd, bisogna partire dal rasoterra del Paese. Invece noi partiamo da noi stessi anche per capire la crisi, siamo autoreferenziali persino in questo. Se non capiamo perché un ex elettore democristiano o proveniente dal Pci si è messo a votare per Matteo Salvini o per Giorgia Meloni, facciamo una discussione astratta».
In quale caso lascerebbe il partito?
«Se si stravolgesse il contratto iniziale da cui è stato generato il Pd, non mi sentirei più rappresentato. Ho visto un approccio del tutto ideologico all’analisi della crisi, come se ilproblema fosse la carta dei valori di Pietro Scoppola e Alfredo Reichlin. Come si fa a pensarlo? I nostri errori sono figli della nostra inadeguatezza, non certo della carta dei valori. Se la si vuole aggiornare io non ho non ho niente in contrario, ma il mondo è cambiato ben di più e ben da prima di quanto si pensi».
Il problema è la contrapposizione tra laici e cattolici all’interno del partito?
«No, che nel tempo della chiesa di Papa Francesco e della Cei del Cardinale Matteo Zuppi si continui a dire che il problema è il rapporto tra laici e cattolici, è da gente fuori dal mondo. Che noi regaliamo la politica ecclesiale, che pure uno Stato deve avere, alla destra perché non vogliamo occuparci di queste cose è pura follia, un non senso per un partito che vuole continuare ad essere di peso. È ovvio che la destra fa il suo mestiere, ma noi dobbiamo avereun rapporto con la religione cristiana, la più importante del nostro Paese, di reciproco rispetto e non di strumentalizzazione. Ma il reciproco rispetto implica la necessità di una relazione».
Questa relazione oggi non c’è più?
«L’udienza del segretario dellaCgil, Maurizio Landini, in Vaticano, è una cosa che per la sinistra dovrebbe essere materia di una riflessione molto seria. La Cgil ha capito che in questo Papa c’è un magistero sociale importante e contemporaneo, ma anche qualcosa di più, che altrove non si coglie: il senso della vita edell’esistenza. Noi stiamo ancora a discutere di laicità e clericalismo, ma qualcuno pensa che noi cattolici abbiamo problemi a perseguire un di più di giustizia?»
Cattolici non equivale a moderati, nell’attuale “vocabolario” della politica?
«I cristiani in politica sono fuoco, non ghiaccio. Sono novità, si tratta di coloro che non sono mai appagati. Questo è il senso del nostro impegno e io porto la lettera di Don Milani a Pipetta, quando dice: “Il giorno che avremo sfondata insieme la cancellata di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene Pipetta, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò”.
Perché continua un’altra battaglia. La nostra filosofia politica si concentra in questo: la centralità della persona con i suoi diritti, non c’è bisogno di altri orpelli. La gente percepisce quando c’è un messaggio chiaro, non ci segue quando il discorso diventa troppo complicato e l’ideologia abbiamo già visto dove ci porta».
Da più parti però si invoca un ritorno alla matrice socialista o socialdemocratica di un partito che è perno della sinistra…
«Credo che una parte dei democratici pensi che la crisi abbia a che fare con l’oltrepassamento dell’esperienza socialista, ma oggi questo cosa vuol dire? Torniamo al socialismo francese? O a quello greco, a quello tedesco? Noi dobbiamo tornare alla centralità dei cittadini e della giustizia. Non sono papista, ma vorrei tornare al Papa: Francesco ha parlato di ecologia integrale, quando nessun ambientalista lo aveva ancora fatto. Ha parlato della fraternità, che è l’unico presupposto per perseguire l’obiettivo della giustizia, perché bisogna vedere nel prossimo un fratello per avere questa idea. Perché perderci in modelli astratti?»
Lei teme che i cattolici non avranno più un ruolo nel Pd?
«Quando qualcuno dice che nel Pd verrà garantito il pluralismo, inteso come diritto di parola, io penso: e vorrei ben vedere. Ma il pluralismo è il riconoscimento del positivo che c’è nel pensiero dell’altro, il perseguimento di una contaminazione tra pensieri che non sono coincidenti. È difficile tenere insieme un partito».
Ha colto qualche segnale da Enrico Letta?
«Il fatto che il segretario abbia annunciato una fase costituente più lunga, il fatto di utilizzare questi giorni come contributi per una riflessione più ampia, è una scelta di grande responsabilità.
Questo può aiutare, ma io lo dico a tutti quelli che mi chiamano: il problema non sono io, la mia permanenza, ma quella degli elettori. Che continuano ad andarsene. Capire perché è il nostro dovere».