La sospirata fiducia passa in tarda serata, domattina verso l’alba sarà il turno della manovra nel complesso dato che alla Camera i voti sono separati. La corsa a ostacoli dovrebbe essere finita, anche se il condizionale è inevitabile dati gli inciampi e gli strafalcioni che si sono accumulati negli ultimi giorni. Persino ieri il governo ha dovuto fare la solita corsa trafelata per inserire un paio di emendamenti persi per strada: uno contro la peste suina in Piemonte, l’altro per l’acquisto di villa Verdi, ultima dimora del compositore. Arrivati fuori tempo massimo i due emendamenti saranno agganciati alle tabelle della legge di bilancio e dunque votati separatamente dalla manovra vera e propria. Il solito caos. A palazzo Madama, dal 27 al 29, le cose dovrebbero andare meglio, un po’ perché il Senato non metterà bocca, in nome del monocameralismo alternato che è diventato surrettiziamente la norma istituzionale, un po’ perché i senatori avranno fretta di tornare a casa in tempo per festeggiare il capodanno.

LA SODDISFAZIONE che la premier ostenta non è però del tutto bugiarda. Il rischio dell’esercizio provvisorio dovrebbe essere evitato, anche se Salvini, scaramantico, ripete che «la manovra deve essere assolutamente approvata entro l’anno», lasciando un margine di dubbio. L’impianto della legge ha retto bene: gli alleati, soprattutto quelli azzurri, hanno fatto parecchio schiamazzo ma nulla di più e alla fine hanno portato a casa pochissimo. Il rapporto con le opposizioni, nonostante gli strilli scandalizzati d’ordinanza, non si è deteriorato più che tanto: nulla da fare con M5S e Pd, ma questo era nel conto. Con il Terzo Polo, invece, i margini di dialogo restano tutti anche se tra la fretta e il caos non c’è stato modo di fare qualche passo avanti sulla via del dialogo, come auspicato. Ma le critiche di Calenda, che accusa il governo di aver solo «dato mance come al solito», e quelle di Renzi, che definisce la manovra «debole, pasticciata e senza visione» ma parla anche di «pericolo scampato», non sono di quelle che lasciano solo terra bruciata. A Bruxelles, infine e soprattutto, fatti salvi gli appunti del caso, si fregano le mani di fronte allo spettacolo del governo “sovranista” che esordisce con una manovra marchiata dall’austerità. Perché di questo si tratta.

SÌ, LA PREMIER il sospiro di sollievo lo ha tirato davvero, siglandolo con un escursione in Iraq per salutare, in tutta mimetica, il contingente italiano. Ripensando alla divisa da poliziotto di Salvini o a quella da guardia penitenziaria di Bonafede viene da chiedersi se il problema dei parlamentari italiani sia che famiglie arcigne hanno permesso di giocare troppo poco nei giardini d’infanzia. Eppure i motivi di preoccupazione ci sono e dovrebbero far suonare il campanello d’allarme a palazzo Chigi.

CERTO, IL TEMPO ERA POCO e l’esperienza spesso anche minore. Ma l’assenza di guida da palazzo Chigi, le falle non solo tecniche ma anche di direzione politica, il caos che ha preso il sopravvento negli ultimi giorni non si spiegano solo con la fretta e il mancato rodaggio. Mollicone, guardia d’onore di Giorgia, spara a zero sui tecnici della Ragioneria e del Mef: «La seconda notte di lavoro non c’era nessuno. Si potevano solo inoltrare mail. Non è ammissibile. Il caos è amministrativo, non politico». Il capogruppo Foti duetta: «Il fatto che alla Camera non ci fosse il personale del Mef è irrituale». Ma anche le assenze più o meno strategiche riflettono un vuoto di regia e inevitabilmente l’ombra si estende sui due sottosegretari che avrebbero dovuto gestire la fase incandescente della manovra, Mantovano e soprattutto Fazzolari. Del resto i guai non sono stati solo tecnici ma anche politici, tanto politici quanto l’emendamento sullo scudo penale per gli evasori che, non essendo stato bloccato per tempo, ha rischiato di far saltare tutto. Alla coppia di palazzo Chigi si aggiunge sul libro nero anche il viceministro dell’Economia di FdI Leo. In compenso la premier ha scoperto quanto prezioso sia su tutti i fronti il responsabile del Mef. Il saldo politico della manovra in fondo è proprio questo: la nascita del governo Meloni-Giorgetti.