Gianni Alemanno è deciso a risalire sulla giostra politica puntando alle elezioni europee, è deciso a farlo a spese di Giorgia Meloni e la sua arma segreta è il no.

Nel dettaglio e in ordine di pronuncia: no all’Europa, no al green pass, no alla Nato, no alle armi in Ucraina e adesso no anche al premierato. L’unico sì che si ricordi, invece, è stato al generale Roberto Vannacci, oggi già dimenticato ma solo fino a qualche mese fa star della destra estrema con il suo libro “Il mondo al contrario”. L’ex sindaco di Roma, il cui mandato gli ha fatto guadagnare il soprannome di Aledanno e una condanna a 22 mesi per traffico di influenze illecite e finanziamento illecito nel processo “Mondo di Mezzo”, ha dismesso i panni che gli erano sempre andati stretti di conservatore e rindossato quelli della destra dura e pura delle origini, in cui non ha mai fatto mistero di sentirsi più a suo agio, oltre che vero erede.

Se la sua lunga storia politica – cominciata appena adolescente nel Fuan, poi continuata in Alleanza nazionale e nel Popolo delle Libertà – gli ha insegnato qualcosa, è che uno spazio politico si guadagna sempre se si presidiano gli spazi di minoranza, senza mai cadere nella tentazione di svoltare al centro.

Perchè il trucco funzioni, però, serve un nemico chiaro e Alemanno se lo è scelto nel suo stesso campo: la Giorgia Meloni traditrice della fiamma, troppo moderata per i nostalgici di Colle Oppio e bugiarda per gli elettori che l’avevano votata per ottenere ordine e sicurezza. Così l’ex sindaco si è lanciato nella battaglia per il no alle armi in Ucraina, rispolverando la dialettica anti Nato dell’Msi che predicava il «mai con la Russia e mai con gli Usa». Poi ha cavalcato il fenomeno Vannacci dopo che il ministro di FdI Guido Crosetto lo aveva redarguito, spingendosi con ardore da movimentismo liceale a raccogliere firme in piazza per il suo diritto di parola. Trecento in tutto, dicono le cronache.

Di qui ai prossimi mesi, invece, la nuova campagna del no gli è stata servita su un piatto d’argento: il no al premierato che annacqua l’ideale del presidenzialismo, ennesimo errore della Meloni traditrice dello slancio ideale della destra storica. Un piano dall’intuizione infallibile: andare al traino dell’opposizione del centrosinistra per far vincere il no al possibile referendum ma da posizioni di «destra sociale», come piace chiamarla all’ex sindaco. «Siamo pronti a mobilitarci per cancellare la riforma», ha annunciato in una delle sue numerose note Alemanno, che ora si firma “portavoce del Forum dell’indipendenza italiana” ma che il 25 e 26 novembre punta a guadagnarsi la spilletta di leader del nuovo movimento.

IL ROSSO E IL NERO

Nel gioco del nero contro nero, Alemanno punta sulla certezza che stare al governo sia per antonomasia un esercizio logorante e dunque Meloni lascerà cadere per strada briciole di consenso – soprattutto della storica militanza della fiamma tricolore – che possono essere raccolte e capitalizzate.

Per la premier e il suo corpaccione elettorale del 30 per cento dovrebbe essere poco più di una puntura di spillo, ma a Meloni i fantasmi non piacciono, soprattutto se si risvegliano alla sua destra, e qualche contromisura in vista delle europee verrà presa.

Non solo, però. Nella poetica dell’assurdo della politica italiana, infatti, quello che si considera il più nero dei neri ha incontrato l’ultimo dei rossi e ormai l’arco costituzionale è così flesso che i due estremi si sono toccati fino a saldarsi insieme. Alla convention romana del Forum dell’indipendenza italiana, infatti, ospite d’onore sarà il comunista Marco Rizzo, fresco di dèbacle da candidato alla guida della provincia autonoma di Trento e pronto per nuove avventure politiche. «Due giorni di confronto e dibattito per far nascere un nuovo movimento che renda l’Italia una nazione libera e indipendente», ha annunciato trionfalmente Alemanno. Ma gli entusiasmi dell’annuncio rischiano di trasformarsi subito in un tragico fiasco.

L’evento clou di questa nuova opposizione al governo che – novità assoluta – andrà «al di là dei vecchi schemi destra-sinistra» doveva essere la funambolica tavola rotonda tra Alemanno, Rizzo, l’artista Moni Ovadia che è stato habituè sui palchi del Movimento 5 Stelle; l’ex An e assessore a Siracusa Fabio Granata, fresco di polemica per le dichiarazioni contro Israele; l’ex ambasciatrice Elena Basile, nota per gli scontri all’arma bianca nei talk show televisivi e ora ospite fissa del canale Youtube di Alessandro Di Battista e il sovranista no vax Francesco Toscano, presidente del neonato partito Ancora Italia.

La strada per l’indipendenza italiana, però, è lastricata di insidie e soprattutto di incomprensioni. Gli invitati, infatti, hanno iniziato a sfilarsi ad uno ad uno e non ci sarà Moni Ovadia e nemmeno Elena Basile. Nessuno dei due aveva capito che l’evento era una convention fondativa di partito, ma entrambi pensavano di prendere parte a un dibattito sulla questione israelo-palestinese. L’ardito Alemanno, pur ferito nell’orgoglio, andrà avanti verso il miraggio del 4 per cento.