L’Italia per i matrimoni gay
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2 Dicembre 2023INTERVISTA AL COORDINATORE NAZIONALE GIOVANI DELLE ACLI
Simone Romagnoli: «È vero, alcuni tra noi hanno smesso di sognare, ma come si fa a pensare ai figli se a 30 anni hai un lavoro precario e prendi 1.200 euro al mese?»
Igiovani «si sono persi e hanno smesso di sognare, vanno ripresi dal punto di vista umano e sociale prima che lavorativo. In realtà i ragazzi hanno voglia di vivere davvero, anche nel mondo del lavoro, quello che serve sono politiche per la gioventù che siano politiche vere». Simone Romagnoli, 27 anni, coordinatore nazionale giovani delle Acli, parte dai dati del Censis per sostenere che in Italia serva «un nuovo modello di visione per i giovani. Anche nel Pnrr il tema dei giovani è stato detto essere trasversale, i giovani invece devono essere presenti in ogni punto di quel piano, sono due cose diverse. Per questo dovremmo batterci continuamente, affinché i giovani siano in ogni progetto che si studia sul futuro. E su questo non ci sono colori politici o partitici, occorre mettersi intorno ad un tavolo per una volta e costruire un futuro diverso per i giovani, rimettendo al centro il loro bene».
Secondo il Censis, i giovani non mettono più il lavoro in cima ai loro valori, ma il benessere psicofisico. È un male?
Oggi i giovani soffrono per la rincorsa continua al successo, ma con il Covid qualcosa è cambiato, si è messo al centro anche il benessere e le condizioni di lavoro. Negli anni l’attenzione alla persona infatti è venuta meno, offuscata dalla ricerca della carriera e da una società che ti metteva l’uno contro l’altro, dove la meta finale non era il benessere ma superare gli altri per raggiungere l’obiettivo. Lo abbiamo dedotto anche dal gran numero di dimissioni che ci sono stati da parte dei giovani per cattive condizioni di lavoro o la fuga dalle città per svolgere attività più tranquille in campagna. Uno dei grandi problemi del Paese è la transizione scuola-lavoro e l’orientamento, due grandi temi perché non possiamo pensare di costruire un futuro se continuiamo a dire ai nostri ragazzi che gli unici bravi sono quelli che vanno all’università; non possiamo insomma creare dal principio carriere di serie A e di serie B. Ce lo dice anche l’Europa quanto gli Istituti tecnici superiori siano importantissimi per lo sviluppo del Paese. Ecco perché è fondamentale avviare i giovani ad un orientamento reale, per permettere loro di costruirsi la vita che vogliono e non la vita che gli altri desiderano per loro, ce lo dice il Censis benissimo.
Il dato preoccupante però è che nel 2040 solo 1 su 4 metterà su famiglia.
I giovani hanno voglia di lavorare nelle migliori condizioni, soprattutto nelle grandi città i ritmi chiesi sono impossibili con paghe da fame. Ma come si fa a pensare ai figli se a 30 anni si ha un lavoro precario
con paghe da 1.200 euro? C’è un ossimoro di fondo nell’ammettere una verità: oggi i giovani sono lavoratori poveri. Bisogna puntare su un nuovo modello di visione che i giovani debbono avere del futuro. Sicuramente occorre innanzitutto guardare con occhi diversi il momento che stiamo vivendo, perché ad essere cambiato è il mondo del lavoro e dell’istruzione che fa arrivare al lavoro. Oggi si pensa a stabilizzarsi almeno con 5-6 anni di ritardo rispetto alle generazioni passate, anche perché in Italia rispetto agli altri Stati è inconciliabile il lavoro con lo studio. La mia generazione, e soprattutto quella dopo, non è stata molto fortunata nella crescita professionale perché abbiamo avuto tantissimi motivi per non riuscire a sognarlo il futuro: la pandemia, continue guerre, il mondo del lavoro completamente stravolto. Così molti di noi si sono arresi, si sono persi e hanno smesso di sognare. Questi sono i giovani che vanno ripresi dal punto di vista umano e sociale prima che da quello lavorativo, perché queste sono le ricchezze che stiamo buttando via per l’Italia di domani. Anche perché non si stanno facendo delle politiche che riescano davvero a tirare fuori da questo tunnel queste persone.
Come fare, allora?
Sicuramente la scuola deve essere uno dei punti di partenza, perché la scuola è il luogo in cui si può far crescere il sociale, l’umano, il professionale tutto insieme. Oltre a far capire l’importanza della transizione scuola-lavoro, bisognerebbe mettere mano con investimenti forti alle carriere degli insegnanti, a corsi di aggiornamento e portare davvero tutta la cittadinanza attiva nelle scuole. Sarebbe molto bello, ad esempio, se con le elezioni europee in ogni scuola ci fosse in modo obbligatorio un momento di racconto di cosa sia l’Europa. Altrimenti come si fa a sostenere l’importanza dell’Ue e del Parlamento Ue, l’importanza del volontariato e del Servizio civile? Quindi scuola, Servizio civile, un incentivo forte delle associazioni locali nei quartieri difficili dove ci sono i Neet e l’ingresso del mondo del lavoro nella scuola – ma non nel senso di andare a cercare lavoro sottopagato o stage, ma l’apprendistato duale – può essere una strada da seguire.
Anche per evitare la fuga all’estero di tanti giovani?
La questione di fondo è che può andar bene per uno Stato che, dopo la formazione, il giovane vada fuori, visto che credo fermamente nella cittadinanza europea. Il problema è che l’Italia poi non è capace di attrarre i giovani stranieri, che se arrivassero avvierebbero un circolo virtuoso di scambio. Ecco perché, ripeto, serve un investimento forte su transizione scuola-lavoro e orientamento, poi a questo si ricollega anche il tema delle pensioni, del lavoro, del giusto salario.
Alessia Guerrieri