Se si potesse mangiare, oggi uno smartphone costerebbe meno del 36% del valore che aveva nel 2019, quando l’inflazione nemmeno era percepita. Oggi converebbe acquistare una radio analogica o digitale, oppure un videoproiettore perché costano quasi la metà di cinque anni fa. Ma per usare strumenti importanti oggi per la vita, e la produzione, bisognerebbe risparmiare sul cibo. Zucchero, riso, olio di oliva, pasta secca, burro, latte intero, carne fresca, pesce fresco, frutta e verdura fresca continuano a registrare aumenti da record. Fino al 64,8% per quanto riguarda lo zucchero, ad esempio. Questo paradosso, registrato ieri dall’Istat, è il risultato di molti fattori: per esempio, della diversità delle merci, e dei relativi mercati che seguono andamenti diversi. Ma, soprattutto, esso è il risultato della violenta fiammata inflazionistica del 2022-3 che ora si sta attenuando, a causa dei crollo dei prezzi dell’energia e dell’aumento dei tassi di interesse voluto dalla Banca Centrale Europea che sta però taglieggiando salari e risparmi.

Quello che è certo è che, sia per le merci tecnologiche che per quelle alimentari, chi ha pagato di più nel 2023 sono state le famiglie povere. L’inflazione, intesa come conflitto redistributivo e non come fenomeno puramente monetario, è il proseguimento della lotta di classe per mezzo dell’aumento dei prezzi. In altre parole, quando l’inflazione è alta, la pagano di più i poveri. Lo dice l’Istat: nel 2023 l’impatto dell’inflazione, misurata dall’Ipca, è stato più ampio sulle famiglie con minore capacità di spesa (+6,5%). Quelle che hanno un po’ di reddito in più hanno pagato di meno gli aumenti dei prezzi: +5,7%. Altro che tassa occulta ingiusta. L’inflazione ci vede benissimo e colpisce i più vulnerabili.

Quanto al governo i dati Istat di ieri confermano che il suo «carrello tricolore» è deragliato e ha ottenuto un risultato paradossale. Doveva calmierare nell’ultimo trimestre 2023 i prezzi dei prodotti alimentari e delle bevande analcoliche e invece questi sono saliti: +0,3% rispetto a novembre 2023, dopo che erano già rincarati dello 0,4% su ottobre. È una conferma di quanto abbiamo già scritto, ma è bene ribadirlo con altri dati. Lo sa anche il governo che, infatti, non ha rinnovato l’iniziativa. Sebbene il ministro «delle imprese e made in Italy» Adolfo Urso abbia detto che è stato un successo. Con un’inflazione media al +5,7%, ha calcolato l’Unione nazionale dei consumatori, nel 2023 una coppia con 2 figli ha speso 1734 euro in più in media in un anno. Il primato spetta alle famiglie numerose con più di 3 figli con 1968 euro. Sono quelle che, giustamente, stanno a cuore a Giorgia Meloni. Questo sarebbe il costo per non avere adottato serie politiche anti-inflazione. A Potenza si è speso di meno («solo» 731 euro in più), a Milano di più: 1656 euro. Un altro primato per la città presentata come prima della classe. Nella lotta di classe dall’alto.