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Con il nuovo decreto Abodi, che ha sostituito la vecchia ordinanza Martini, si è cercato di regolamentare un campo delicato: quello delle manifestazioni storiche con cavalli – palii, giostre, quintane – bilanciando il rispetto delle tradizioni popolari con la tutela del benessere animale. Un intento condivisibile. Ma la sua attuazione rischia di produrre l’effetto opposto.
Il nodo centrale riguarda l’obbligo, imposto dal decreto, di iscrivere i cavalli e gli asini impiegati in manifestazioni che si svolgono fuori da impianti sportivi riconosciuti dal MASAF o dal CONI – cioè praticamente tutte le feste popolari italiane – ai registri dei cosiddetti “cavalli atleti”.
Peccato che questi registri non garantiscano né selezione né controlli effettivi: per iscrivere un cavallo basta pagare una quota. Nessuna verifica preventiva sul suo stato di salute, nessun esame serio. L’iscrizione è gestita da federazioni sportive o enti di promozione riconosciuti dal CONI e si traduce, di fatto, in un puro adempimento burocratico, senza reale valore per il benessere animale.
Eppure, in molte città – Legnano, Ferrara, Bientina – i comitati organizzatori si sono già adeguati. Il Palio di Siena, invece, no. Durante le previsite veterinarie di giugno e agosto, il Comune non ha richiesto l’iscrizione dei cavalli a nessun registro. Formalmente, questo rende la corsa “fuori legge”. Ma tutto si è svolto regolarmente. Nessuna comunicazione, nessuna sanzione. Solo silenzio.
Perché? Due possibili spiegazioni.
La prima è tecnica: forse è stata concessa una deroga o si è scelto di interpretare il decreto in modo da escludere il Palio.
La seconda, più sostanziale, è politica: Siena ha forse deciso di non piegarsi a un obbligo percepito come inutile, se non dannoso.
E in effetti, chi conosce il Palio sa che i cavalli vengono trattati da veri atleti: allenamenti mirati, controlli medici rigorosi, selezioni attente. L’iscrizione a un registro generico non migliorerebbe nulla. Al contrario, comporterebbe solo costi aggiuntivi e l’ingresso forzato in una logica federale estranea alla natura storica e comunitaria di queste manifestazioni.
Il sospetto è che, dietro la facciata della tutela animale, si celi l’ennesimo tentativo di centralizzazione: una norma che cerca di portare risorse e controllo verso lo sport equestre ufficiale, a discapito delle tradizioni locali.
Per questo la posizione – silenziosa ma decisa – di Siena potrebbe segnare un punto di svolta. Non per difendere privilegi, ma per aprire un dibattito vero: sulla differenza tra tutela reale e formalismi inutili, tra partecipazione comunitaria e burocrazia centralizzata.
La legge va rivista. Perché la salute e il rispetto degli animali non si difendono con un bollino pagato, ma con competenza, trasparenza e responsabilità.