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7 Ottobre 2025Il caso di Alessandra Vanni, la giovane tassista senese trovata strangolata il 9 agosto 1997 vicino al cimitero di Castellina in Chianti, resta uno dei misteri più oscuri e irrisolti della cronaca toscana. Dopo ventotto anni di indagini, ipotesi e depistaggi, il giudice per le indagini preliminari Chiara Minerva ha accolto la richiesta di archiviazione presentata dal pm Nicola Marini, riconoscendo che «gli elementi di prova finora emersi non sono idonei a fondare una ragionevole possibilità di condanna».
L’inchiesta, riaperta nel 2020, aveva concentrato l’attenzione su Nicola Fanetti e un altro uomo, entrambi residenti in provincia di Siena. Ma i profili genetici raccolti sulla scena del crimine — due tracce maschili rinvenute sotto le unghie della vittima e nell’abitacolo del taxi — sono risultati incompatibili con i loro. Fanetti, già noto alle cronache per la tragica vicenda di Milva Malatesta e del figlio (uccisi nel 1993 e ritrovati carbonizzati), è stato nuovamente scagionato. Il giudice ha escluso qualunque collegamento tra le due storie, riconoscendo come le “suggestioni” legate alla sua vita tormentata non avessero fondamento probatorio.
Nonostante l’accurato lavoro di rilettura svolto da carabinieri e polizia — con nuove analisi dei tabulati telefonici, riscontri nelle strutture ricettive e confronti internazionali di DNA — il mosaico investigativo resta incompleto. La pista più recente riguarda una coppia di turisti stranieri che, la notte dell’8 agosto 1997, avrebbe chiesto un passaggio ad Alessandra verso una località non precisata, offrendo 50mila lire. Sarebbero poi stati visti camminare al buio sulla strada per Radda in Chianti, con uno zainetto dotato di un vistoso ciondolo metallico, impronta compatibile con quella trovata sul sedile posteriore del taxi. Da qui l’ipotesi di una rapina finita nel sangue, forse per una somma di denaro contesa. Ma anche questa pista non ha trovato conferme.
Rimangono dunque senza risposta gli interrogativi che da anni alimentano la memoria del caso:
Perché il radiotaxi era spento?
Per quale motivo l’auto era parcheggiata come se avesse appena fatto inversione?
E soprattutto: aveva visto qualcosa che non doveva?
Dalla prima ondata di indagini agli anni Duemila, fino alla riapertura del fascicolo nel 2020, le autorità hanno tentato più volte di dare un volto all’assassino. Nel 2015 un altro uomo fu arrestato e poi scagionato: in casa sua furono trovate armi e oltre 170 ritagli di giornale, molti dedicati proprio al delitto Vanni.
Oggi, con l’archiviazione, il procedimento si chiude formalmente — ma non simbolicamente. Come ha scritto il gip Minerva, è opportuno non distruggere i campioni di DNA né restituire gli oggetti appartenuti alla vittima, perché «le future evoluzioni delle tecniche investigative» potrebbero un giorno riaprire la speranza di verità.
Una speranza che, come ricordava la madre di Alessandra, «è l’ultima a spegnersi, anche se è passato molto tempo. Sarebbe una bella cosa trovare chi è stato, per le forze dell’ordine ma soprattutto per Alessandra».