
Record Labels Are Running on Empty
13 Luglio 2025
Ho le cicatrici dell’Ucraina davanti agli occhi
13 Luglio 2025di Annachiara Sacchi
Inquietante, a intensità variabile. Se c’è un elemento costante nella narrativa contemporanea giapponese — sia essa puramente horror alla Uketsu, oppure fantastica alla Murakami, con pecore parlanti, cieli a due lune e mura incerte, o addirittura «confortante» con locande magiche e gatti taumaturghi (appunto) — è lo sconfinamento in una dimensione più o meno «alterata» della realtà. Non si tratta solo di magia, non sono solo portentosi caffè. È anche l’iper-realismo nel descrivere ragazze e ragazzi smarriti, che intrecciano relazioni esclusivamente virtuali e hanno bandito il sesso dalle loro vite. È la violenza ai massimi livelli della Yakuza che diventa a tratti esilarante, pulp come un film di Quentin Tarantino. È la distopia che affronta temi attuali come la pressione sui giovani, la ricerca del prestigio, il calo delle nascite, le differenze abissali tra maschi e femmine. È la forza visiva dei manga, è l’ipnotica potenza dei videogame. È il racconto di una società che, per quanto globalizzata, continua a mantenere il suo orientalissimo mistero, fatto di regole e convenzioni, di scintoismo e buddhismo, di sì che vogliono dire no. E non smette di esercitare un clamoroso fascino sull’Occidente, sull’Italia in particolare: se tra 2000 e 2017 uscivano in media all’anno quindici volumi di autori nipponici, nel 2022 i titoli erano sessantatré. Nel 2024, tra ristampe, vecchie glorie e nuove uscite, hanno sfiorato quota cento. Ecco allora una guida per orientarsi nella gigantesca galassia letteraria (e «animata») giapponese, una bussola che porta con sé una precisazione: anche in questo caso si assiste a continui sconfinamenti, stavolta tra generi. La storia d’amore diventa paurosissima, la fantascienza sa di verità, la tragedia prende il tono della commedia.
Giallo, noir, mystery, horror
Strumento utile per intercettare fenomeni e cambiamenti che attraversano l’oggi, il noir nipponico in tutte le sue varianti è il genere che raccoglie il maggior numero di titoli e autori. Del resto per i lettori giapponesi è una novità relativamente recente, visto che indagini e investigatori sono sconosciuti fino all’inizio del ventesimo secolo, quando nell’arcipelago arrivano le storie di Arthur Conan Doyle e colleghi. Passione immediata. Con il risultato che a Tokyo molti scrittori si dedicano al giallo seguendo la scia dei maestri occidentali. Si formano così «pilastri» come Edogawa Ranpo (1894-1965, pseudonimo di Taro Hirai), il cui nome non è altro che la trasposizione fonetica di Edgar Allan Poe, e Yokomizo Seishi (1902-1981), «papà» del detective Kindaichi. Altri giganti del Novecento sono Matsumoto Seicho (1909-1992; suo La ragazza del Kyushu, Adelphi, 2019), capostipite del thriller psicologico-sociale — qui il delitto è frutto di uno strappo nel tessuto del Paese, non di un criminale isolato —, e Takagi Akimitsu (1920-1995; Einaudi ha appena pubblicato Luna di miele verso il nulla), il «Simenon giapponese». Mentre Togawa Masako (1931-2016), icona gay e femminista, alterna la carriera di scrittrice di noir a quella di cantante, attrice, titolare di nightclub. Con questi «genitori», e con un seguito eccezionale, gi enigmi della camera chiusa, gli hardboiled, i mystery continuano a crescere. Ed eccoci al 2025.
Anche qui, i sottogeneri non mancano. E anche qui il noir diventa una preziosa lente per capire inquietudini e pulsioni di un Paese in crisi su vari fronti. Innanzitutto quello economico, con i minacciati dazi di Trump al 25 per cento e il debito pubblico che, secondo le previsioni, raggiungerà il 234,9 per cento del Pil entro la fine del 2025, dato che supera quello della Grecia durante la crisi del 2010, come ha sottolineato il primo ministro Ishiba Shigeru. Poi il calo delle nascite: nel 2024 sono diminuite del 5 per cento rispetto all’anno precedente, il livello più basso registrato dal 1899. Altri scogli: la mancanza di forza lavoro e la forte pressione sul sistema di welfare. Meglio rifugiarsi nel giallo.
Partiamo dai nuovi «classici». Tra gli autori di polizieschi tradizionali rientrano Higashino Keigo (1958; quest’anno Piemme ha pubblicato il suo Delitto al mercato dei fiori di Tokyo), Tetsuya Honda (1969), Ayatsuji Yukito (1960), che si è dedicato spesso all’horror, ma in Italia si è fatto conoscere per I delitti della casa decagonale (Einaudi Stile ibero, 2024), omaggio all’età dell’oro del giallo occidentale dall’impianto pressoché perfetto. Più vicino alla lezione di Matsumoto Seicho, con duri attacchi al diabolico sistema di polizia nipponico, è Hideo Yokoyama (1957), autore di Sei Quattro, in Italia nel 2017, e del recentissimo La stagione delle ombre (tutti Mondadori). Ma ecco il fenomeno di questi anni: Isaka Kotaro (1971), creatore dei Sette killer dello Shinkansen, pubblicato, con i suoi sequel e prequel, da Einaudi Stile libero. Ritmo, violenza, ironia, scene splatter che sono diventate un film con Brad Pitt: la miscela funziona perché unisce elementi del manga e la velocità del cinema pulp, le maschere della tradizione nipponica e dialoghi surreali.
Rimane un nome da segnalare. È quello di Natsuo Kirino (1951), la regina del noir che ha imposto il suo nome con Le quattro casalinghe di Tokyo (Neri Pozza, 2003): un omicidio, un gruppo di amiche, la ribellione contro il patriarcato. La sua scrittura affonda il coltello nella carne della piccola borghesia giapponese, fondata su ingiustizie «lavorative, sociali, economiche».
La rivoluzione delle autrici
Gli anni Novanta, fa notare Gianluca Coci, ordinario di Lingua e letteratura giapponese all’università di Torino, traduttore e curatore (lo spiega nel volume Cultura letteraria giapponese, a cura di Gala Maria Follaco, Hoepli, 2023), «segnano in Giappone l’affermazione delle scrittrici» dopo anni di «esilio» negli scaffali più invisibili delle librerie. Qualcosa cambia. Nel 1996 vince il prestigioso premio Akutagawa, lo Strega nipponico, Kawakami Hiromi (1958) nota in Italia per La cartella del professore (Einaudi, 2011) e La voce dell’acqua (Einaudi, 2022), storie realistiche affacciate sul bordo del fantastico (territorio in cui si getta a capofitto Kaho Nashiki, pubblicata da Feltrinelli). Ogawa Yoko (1962), invece, punta più sulla differenza tra normalità e anormalità, tendenza portata all’estremo da una nuova generazione di autrici. Tre in particolare guidano la squadra: Hiroko Oyamada (1983), Mieko Kawakami (1976) e la formidabile Murata Sayaka (1979). I loro romanzi — stranianti, potenti — raccontano la difficoltà di essere donna in Giappone: che si tratti di maternità (Seni e uova di Kawakami, edito da e/o nel 2020, ma anche Parti e omicidi di Murata , sempre e/o, 2024), di lavoro (La fabbrica di Oyamada, Neri Pozza, 2021), oppure delle aspettative che la società nutre nei confronti delle giovani (La ragazza del convenience store di Murata, e/o, 2018), «accettate» solo se mogli, possibilmente casalinghe.
I convitati di pietra
Aleggiano divini su tutti questi autori e questi titoli, forti di un vento favorevole che dura da decenni e di un talento che non viene meno, i due giapponesi che per primi, ormai oltre trent’anni fa, hanno incantato il pubblico in patria, ma soprattutto sono riusciti a spalancare le porte del Giappone ai lettori occidentali: sono Murakami Haruki (1949), leggenda vivente da sempre in odore di Nobel, scrittore raffinato e molto amato, e Banana Yoshimoto (1964), maestra dell’introspezione, soprattutto quando si tratta di alienazione e ferite dell’anima, diventata un caso editoriale con Kitchen, pubblicato in Italia nel 1991 da Feltrinelli. I due autori hanno in comune temi come la solitudine, la ricerca dell’identità, la difficoltà di comunicare. Sono influenzati dalla cultura pop giapponese. In particolare Murakami, meno ostico rispetto ai più anziani Kawabata Yasunari e Oe Kenzaburo, recepisce la lezione (letteraria e musicale) arrivata dall’America negli anni successivi alla guerra. Nelle sue opere inserisce canzoni, film, libri provenienti da ovest: melodie e pellicole accompagnano le giornata dei suoi uomini afasici, incolori, costretti ad affrontare avventure fuori dal comune. E questo «sconfinare» funziona, la narrativa «onirica», poetica, di Murakami diventa archetipo di una corrente letteraria: il realismo magico giapponese.
Distopie, fantascienza, iper-realtà
Ai due lati del canone murakamiamo, lontanissime ma non troppo dissimili, si trovano due tendenze: l’iper-realismo dell’«altro Murakami», Ryu (1952), «outsider» dall’indiscussa capacità di raccontare la sottocultura giovanile degli anni Settanta, trasgressivo e crudo fin dal suo Blu quasi trasparente del 1976 (in Italia edito da Atmosphere); e, all’opposto, un’«onda» di autori che sì, come gli altri descrivono un Giappone inquieto, lontano da cartoline di ciliegi in fiore, ma lo fanno attraverso la distopia e la fantascienza. Gli esempi sono tanti. Sayonara, Gangsters di Takahashi Gen’ichiro (1951) è un «libro alieno» in cui la storia d’amore si intreccia agli incubi dello scrittore; Tokyo Soundtrack di Hideo Furukawa (1966) è ambientato in una Tokyo surriscaldata (il titolo è uscito da Sellerio nel 2018); Radio Imagination (Neri Pozza, 2015) di Seiko Ito (1961) parla di un dj che trasmette dalla cima di un albero. Alla stessa corrente appartengono le inquietanti sacerdotesse dell’Isola dei gigli rossi (Mondadori, 2023) di Li Kotomi, nata nel 1989 a Taiwan e vincitrice, con questo romanzo, dell’Akutagawa, ma anche l’universo cyberpunk di Ohara Mariko (1959), di cui è in arrivo da Amtosphere Hybrid child. Più estremo: in Donne da un altro pianeta (Atmosphere, 2023) della scrittrice Miyuki Ono (1985), per rimanere incinte le abitanti di un satellite devono mangiare gli uomini rimasti sulla Terra. In fondo, da qualunque parte lo si prenda, il tema è più che ricorrente: la maternità.
Gatti, caffè e locande
E arriviamo ai tormentoni, ai bestseller che hanno invaso, in particolare dalla pandemia di Covid in poi, gli scaffali di qualsiasi libreria italiana. Sono «comfort book», libri che fanno stare bene, che accompagnano il lettore in storie di resilienza e accettazione di sé, con stilemi volutamente ripetitivi, rituali, e «personaggi» ricorrenti. Per esempio: i gatti. Che piacciano ai giapponesi è cosa risaputa, che il capolavoro nell’ambito di questo «genere» resti Io sono un gatto di Natsume Soseki, del 1905, anche, come del resto l’effetto positivo della pet-therapy. Ma questa è un’invasione felina. Solo per dare un’idea, ecco qualche titolo recente: Se i gatti scomparissero dal mondo (Kawamura Genki, Einaudi, 2019), I gatti di Shinjuku (Durian Sukegawa, Einaudi, 2023), La mia vita con i gatti (Morishita Noriko, Einaudi, 2021), A volte basta un gatto (di Saki Murayama, Garzanti, 2022), Il gatto che voleva salvare i libri (Sosuke Natsukawa, Mondadori, 2020), La locanda dei gatti e dei ricordi (Yuta Takahashi, Feltrinelli, 2024) e il nuovissimo La soluzione è sempre un gatto di Ishida Syou, appena uscito da Rizzoli, seguito di Un gatto per i giorni difficili del 2024.
Sempre in ambito seriale, è evidente una certa affezione da parte di editori, scrittori, lettori nei confronti dei romanzi sui negozi: librerie, ristoranti, studi fotografici, uffici postali, chioschi, cartolerie dove si compiono piccoli miracoli quotidiani, si fanno incontri salvifici, si riparano pezzi di vita. Seguendo questo ritmo bisognerà cercare nuovi esercizi da «occupare» letterariamente. Infine, l’imperatore delle vendite: Toshikazu Kawaguchi (1971), che con la sua serie sul caffè fa tornare indietro nel tempo (siamo ormai al titolo numero sei: il primo è Finché il caffè è caldo, Garzanti 2020; il sesto è uscito il mese scorso, La bottega del tempo ritrovato) ha colpito nel segno con una verità condita di buon senso: se il passato non si può cambiare, si può almeno fare pace con sé stessi e con i propri rimorsi e rimpianti.
Anche le ricette vanno fortissimo. Sushi, mochi, tè, preparati in locali dove si risolvono misteri e nascono amori. Fuori categoria, perché rientra nei romanzi che criticano ferocemente la società, è Butter di Asako Yuzuki (HarperCollins, 2024): la giornalista mobbizzata, ovviamente dai colleghi maschi, intervista in prigione la chef assassina (tra l’altro si tratta di una storia vera). È lei a dirle: «Ci sono due cose che io non riesco a sopportare: le femministe e la margarina»…
Manga e videogame: la grande onda
Pronipoti dei manga di Hokusai («schizzi» realizzati dal maestro del mondo fluttuante nel XIX secolo, ma si può andare ancora più indietro), i fumetti giapponesi sono avamposti della sperimentazione narrativa e visiva, terreno da cui nascono fenomeni globali come One Piece di Eiichiro Oda, il manga più venduto di sempre: oltre cinquecento milioni di copie. Secondo uno studio condotto da Media Partners Asia, il fatturato televisivo e cinematografico legato al mondo dei manga passerà dai 31,8 miliardi di dollari del 2024, a 34,1 miliardi di dollari nel 2029, mentre la quota di mercato delle piattaforme online salirà dal 35 al 45 per cento, per un totale di 15,3 miliardi di dollari. In Italia (dati Aie) il fatturato dei manga è passato dai 11,2 milioni di euro del 2019 ai 58,3 milioni del 2021, con un calo a partire dal 2023, anche se il settore resta trainante nell’universo del fumetto.
I motivi di un successo: i manga sono più facili e immediati dei romanzi; costano meno e i ragazzi vi si avvicinano volentieri; le storie disegnate, poi, si rivolgono a tutte le età e parlano di tutto: amore (etero e omosessuale), avventura, sport, fantascienza, thriller, storia, adolescenza. Soprattutto, sono prodotti di altissima qualità, tanto quelli di carta, quanto le loro versioni animate (e non a caso colossi come Netflix e Amazon Prime Video propongono nuovi titoli a ritmo continuo). Soprattutto, sono «transmediali»: una «buona» storia a fumetti fa nascere anime, film, videogiochi, serie. Ecco perché lo chiamano «ecosistema multimediale». Con indotti eccezionali e investimenti altrettanto straordinari: martedì 8 luglio sono state annunciate le attesissime date del Tokyo Game Show 2025, che si terrà dal 25 al 28 settembre. Tra gli espositori: Sony Interactive Entertainment, Sega, Square Enix, Capcom e Kojima Productions.
https://www.corriere.it/la-lettura/