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26 Luglio 2022Il Pontefice prega per i bambini uccisi e denuncia il sostegno di “molti cristiani alla mentalità colonizzatrice che ha oppresso questi popoli”
Paolo Rodari
MASKWACIS — Ha voluto a tutti i costi essere qui, per la prima volta Papa Francesco in terra canadese per un mea culpa davanti agli aborigeni delle popolazioni First Nations, Métis e Inuit. A circa settanta chilometri a sud della città di Edmonton, nell’area di Maskwacis, nell’Alberta centrale — le «colline dell’orso » in lingua cree — mentre una sottile pioggia sembra volersi adeguare al carattere «penitenziale» del suo trentasettesimo viaggio internazionale, Bergoglio non usa parole di mera circostanza: «Chiedo perdono — afferma con un filo di voce — per i modi in cui, purtroppo, molti cristiani hanno sostenuto la mentalità colonizzatrice delle potenze che hanno oppresso i popoli indigeni ». Chiede perdono e insieme lo implora «da Dio».
È il primo momento solenne del viaggio di Francesco in Canada. Sui prati dove un tempo sorgevano migliaia di cespugli di mirtilli che attiravano una numerosa popolazione di orsi, Francesco arriva a bordo della sua Fiat 500L bianca.
È accolto all’ingresso della chiesa dedicata alla Madonna dei Sette Dolori da alcuni anziani delle popolazioni native, quelle stesse popolazioni che hanno subìto violenze e abusi nelle politiche di assimilazione culturale che tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo videro tra i protagonisti anche la Chiesa cattolica. Wilton Littlechild, un capo aborigeno, gli rivolge parole di benvenuto. Poi, davanti alla governatrice generale del Canada, Mary Simon — lei stessa di madre Inuit — e al primo ministro Justin Trudeau, il Pontefice parla di «indignazione» e «vergogna», di «un grido di dolore », «un urlo soffocato che mi ha accompagnato in questi mesi». E cita lo scrittore superstite dell’Olocausto Elie Wiesel: è giusto fare memoria, perché la dimenticanza porta all’indifferenza e «l’opposto dell’amore non è l’odio, è l’indifferenza,l’opposto della vita non è la morte, ma l’indifferenza alla vita o alla morte».
Tutto il pontificato di Francesco è stato condotto mettendo al centro della scena le vittime degli abusi commessi da esponenti della Chiesa. Anzitutto le vittime di abusi sessuali commessi dai preti pedofili, ascoltati per la prima volta in un summit in Vaticano, adesso gli aborigeni canadesi a cui il Papa ha dato la parola oltre le Mura Leonine la scorsa primavera. Allora gli aborigeni gli consegnarono due paia di mocassini, segno della sofferenza patita dai bambini indigeni, in particolare da quanti non fecero più ritorno a casa dalle scuole residenziali. Ricorda il Papa: «Mi era stato chiesto di restituire i mocassini una volta arrivato in Canada; lo farò al termine di queste parole». Il ricordo dei bambini infonde in lui «afflizione ed esorta ad agire affinché ogni bambino sia trattato con amore, onore e rispetto». Ma quei mocassini «ci parlano anche di un cammino, di un percorso che desideriamo fare insieme. Camminare insieme, pregare insieme, lavorare insieme, perché le sofferenze del passato lascino il posto a un futuro di giustizia, guarigione e riconciliazione». Le distese sterminate di erba di questa regione vedono da tempo immemorabile la presenza delle popolazioni indigene. E negli ultimi decenni delle violenze da loro patite: «I bambini hanno subito abusi fisici e verbali, psicologici e spirituali », ha ricordato Francesco. «Sono stati portati via dalle loro case quando erano piccini» e ciò ha segnato «in modo indelebile il rapporto tra i genitori e i figli, i nonni e i nipoti». Si tratta, spiega il Papa, «di una memoria sanguinante», di una terra che «custodisce le cicatrici di ferite ancora aperte». E ancora: «Quello che la fede cristiana ci dice è che si è trattato di un errore devastante, incompatibile con il Vangelo di Gesù Cristo». Per questo «la Chiesa si inginocchia dinanzi a Dio e implora il perdono per i peccati dei suoi figli » e il Papa chiede «umilmente perdono».
Una golf car porta il Papa fino al cimitero. Diverse croci sono conficcate nell’erba di un grande prato. Lo accompagnano suoni di tamburo. Francesco si sofferma in preghiera silenziosa seduto sulla sua sedia a rotelle. «Lasciamo che il silenzio ci aiuti tutti a interiorizzare il dolore», dice. «Silenzio. E preghiera: di fronte al male preghiamo il Signore del bene; di fronte alla morte preghiamo il Dio della vita. Non bastano i nostri sforzi per guarire e riconciliare, occorre la sua Grazia».