Se Luigi De Magistris chiama, Giuseppe Conte ancora non risponde, anche se comincia a elaborare la rottura con il campo largo. Quest’oggi la direzione democratico chiuderà definitivamente all’alleanza col Movimento 5 Stelle. Fino ad oggi i messaggi dell’Unione popolare dell’ex sindaco di Napoli con Rifondazione e Potere al popolo erano stati messi da parte in attesa di sviluppi. Dal M5S consideravano normale, quasi fisiologico, che la tempesta durasse qualche giorno.

LO FA CAPIRE Giancarlo Cancelleri. «Ho imparato che in politica può succedere di tutto e che persone di buon senso possono parlare e trovare soluzioni – dice il sottosegretario alle infrastrutture – Diamoci tempo fino ad agosto, quando dovranno essere presentate le liste. Se c’è unità di intenti e voglia di correre insieme per un obiettivo comune su scala nazionale, bene. Altrimenti sarà davvero liberi tutti». Ma la sensazione che il «liberi tutti» sia già ineluttabile viene dalle parole di un altro grillino di governo: il capodelegazione Stefano Patuanelli attacca a testa bassa il dialogo tra Letta e Calenda. «Patto Repubblicano ma senza Tizio, Caio e Sempronio – scrive Patuanelli su Facebook – Agenda Draghi, ma senza agenda sociale. Scissioni che impongono condizioni. Correnti interne che dettano le linee politiche ai segretari. Raggruppamenti politici per metà al governo e per metà all’opposizione. Partiti senza posizioni che tentano di posizionarsi. Transfughi in cerca di seggi sicuri. Era questa l’unità nazionale? Che gran casino».

NON SEMBRANO rassegnarsi al divorzio gli esponenti della sinistra del centrosinistra che in questi anni hanno contato sul M5S per spostare il baricentro della coalizione su alcuni temi. «Perché il Pd vuol regalare le elezioni e il governo del Paese alla peggior destra? – dice ad esempio Lorendana De Petris, capogruppo al Senato di Leu – Quale intelligenza politica c’è nel buttare a mare tre anni di paziente lavoro per costruire un programma progressista comune con il M5S, che non ha affatto sfiduciato il governo Draghi come recita la vulgata? Solo una vera alleanza progressista può fermare la destra ed è assurdo sacrificarla per il dissenso provocato da un singolo articolo sul quale è stato un errore porre la fiducia». Arturo Scotto, coordinatore di Articolo1, dà per scontata la frattura ma persegue l’idea che si possa trovare una soluzione che argini il tracollo nei collegi uninominali. «Dopo l’errore grave di aver fatto cadere il governo e diventare strumento dell’estrema destra, un accordo tecnico può darsi sia una strada percorribile, un tentativo va esperito».

LA NARRAZIONE che comincia provenire tra i 5Stelle è che il Pd abbia scelto di rompere il fronte progressista usando la crisi di governo come scusa per abbandonarsi alle correnti centriste. «Il Pd con Draghi e Calenda ha scelto l’agenda liberale – dice ad esempio il deputato Luigi Gallo – Il M5S sceglie di dare voce a chi è debole, a chi si sta impoverendo, alla generazione che contrasta le devastazioni ambientali. Siamo la forza che può guidare una moderna alleanza ecologica e progressista senza compromessi». Gallo è uno dei circa 40 parlamentari che si trova al secondo mandato e che dunque non verrà ricandidato. Ha fatto sapere, e come lui ha fatto un pugno di deputati e senatori, di voler restare comunque «al servizio del progetto politico di Giuseppe Conte». Non tutti la prendono con filosofia: alcuni dei big starebbero ancora attendendo che l’avvocato trovi modo di concedere loro una deroga. Potrebbe tornare utile una proposta di compromesso avanzata ormai più di un anno fa: i personaggi di primo piano aspiranti al terzo mandato potrebbero essere schierati soltanto in quota uninominale, là dove dovrebbero conquistarsi i voti uno a uno per superare gli altri candidati.