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Il giorno dopo la corsa, la contrada vincitrice entra al Cimitero della Misericordia. Tamburi, bandiere, colori tra le tombe. “È il primo atto”, dice Maurizio Bianchini, quarant’anni voce del Palio. “Silvio Gigli lo sapeva: Siena trionfa immortale”.
Il Palio non è solo cavalli e tifo: è potere. E la politica — intesa qui come l’arte di conquistare, mantenere e contendere il potere dentro regole condivise — si gioca metro per metro. “Se al canape hai un avversario fastidioso, puoi offrirgli centomila euro per lasciarti spazio. Entro sera il debito è saldato”. Fortuna, sì. Ma governata con la virtù di Machiavelli: alleanze, astuzia, calcolo.
Un tempo anche la rissa aveva regole. “Se uno perdeva la fede, si fermava tutto finché non la trovavamo. Poi si ricominciava a picchiarsi”. Oggi non più: il gesto di sospendere il conflitto per un segno personale si è perso. È il segnale che il codice interno si è indebolito, che la forma del conflitto sopravvive ma senza il tessuto di valori condivisi che lo rendeva sostenibile. È trasformazione, ma anche patologia: quando la regola non scritta scompare, resta solo la violenza nuda, senza quel rispetto minimo che permetteva di tornare a guardarsi in faccia.
Lorenzetti lo aveva intuito: senza Sapienza, Giustizia, Concordia, il conflitto si degrada in caos. Santa Caterina lo avrebbe detto in altro modo: chi piega le regole alla propria rabbia tradisce la comunità e prepara la propria caduta.
I confini delle contrade li fissò Violante di Baviera nel 1719: mai cambiati. Ma due volte l’anno tutto si rimette in gioco. Vittoria e comando non sono mai acquisiti: ogni volta si ricomincia. La sopravvivenza di questa democrazia arcaica dipende da un popolo che oggi, molto timidamente, prova ancora a sorvegliare il potere, a partecipare alla vita comune e a riconoscersi — non sempre con convinzione — in regole condivise.
Il Campo è un teatro politico: la politica compressa in tre giri di pista, dove la fortuna è volubile e la virtù deve essere all’altezza. E dove, sotto la retorica e il turismo, resta un manuale vivo — ma non immobile — di come il potere si conquista, si mantiene e si perde. E di come, se il codice invisibile si spezza, il gioco smette di essere politica e diventa solo scontro.