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La riunione di Montepulciano mostra con chiarezza una trasformazione che ormai non si può ignorare: il Pd somiglia sempre più alla vecchia Democrazia Cristiana, non per cultura politica, ma per metodo. La gestione delle correnti, le ricomposizioni interne, i riti collettivi in cui la classe dirigente si conta e si riconta sono tornati al centro della vita del partito, mentre l’elaborazione politica resta sullo sfondo.
A incontrarsi non è stata un’area indistinta, ma un blocco compatto che tiene insieme tre tradizioni: quella di Franceschini, quella di Orlando-Provenzano e quella ex Articolo 1. Insieme formano una maggioranza che si muove come un partito nel partito, con l’obiettivo di stabilizzare la segreteria e definire una linea condivisa dopo una fase segnata da tensioni e da un voto regionale che ha lasciato aperti più interrogativi che risposte. La convocazione serve a ribadire un messaggio semplice: il baricentro del Pd è questo, e non quello che si muove intorno ai riformisti.
La dinamica ricorda da vicino il funzionamento della Dc degli anni Ottanta, con le sue aree organizzate, i documenti preparati prima ancora della discussione, l’idea che le grandi scelte si assumano in incontri riservati, con un equilibrio faticoso tra anime diverse. Oggi il Pd utilizza la stessa grammatica: prima si costruisce l’assetto interno, poi si definisce la strategia. La base resta spettatrice di un gioco che si svolge soprattutto ai piani alti.
Nel quadro generale pesano diversi fattori: le regionali appena concluse, un rapporto complicato con il governo nazionale, la concorrenza interna dei riformisti, e anche la vicinanza del referendum sulla giustizia, che costringe il partito a chiarire una posizione su un tema tradizionalmente divisivo. Tutti elementi che spingono la segretaria a cercare protezione in una maggioranza ampia e disciplinata, più orientata a garantire stabilità interna che a proporre un progetto politico riconoscibile.
La scelta della Toscana e della Valdichiana non è casuale. È un territorio che conserva un’antica fedeltà al centrosinistra e che permette di evocare un’idea di continuità. Ma la riunione è servita soprattutto a dare un segnale nazionale: il gruppo dirigente che sostiene Schlein resta il fulcro del partito e intende mantenere questo ruolo anche nella definizione delle prossime candidature e delle future alleanze. Un messaggio che parla anche a Siena e ai territori dove il Pd vive trasformazioni profonde.
Resta la contraddizione che attraversa questo percorso. Schlein era arrivata con la promessa di superare le correnti e di aprire il partito a una partecipazione reale. Oggi si trova a dover governare attraverso gli stessi meccanismi che voleva archiviare. È una torsione che rafforza la percezione di un Pd chiuso in sé stesso, impegnato a gestire equilibri interni più che a interpretare le domande del Paese.
Montepulciano conferma che il partito ha scelto la strada della stabilità interna, ma non ha ancora trovato il modo di trasformarla in un progetto capace di parlare alla società. La sensazione è che il Pd stia costruendo una struttura sempre più solida nella sua architettura interna, mentre fuori il consenso scivola verso forme politiche più semplici, più riconoscibili, o più radicali. Il rischio è evidente: tornare a essere un partito di governo senza però essere un partito che sa leggere il proprio tempo.





