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27 Novembre 2025Il postumano come occasione: arte, soggettività e istituzioni nel presente
di Pierluigi Piccini
Il pensiero di Rosi Braidotti non è un sistema chiuso, ma un insieme di idee che si evolvono nel tempo. Alla base c’è l’idea che l’identità umana non sia un centro stabile, ma un nodo dentro reti più ampie di relazioni: con altri corpi, con le tecnologie, con l’ambiente. Braidotti riprende il vitalismo di Deleuze, il femminismo materialista di Haraway e l’ontologia relazionale di Barad per proporre una visione in cui ciò che è umano, non umano e tecnologico è sempre intrecciato. Non si tratta solo di sostituire l’uomo con la tecnologia, ma di riconoscere che la soggettività nasce da connessioni, processi e co-dipendenze.
Nelle arti visive questa prospettiva è utile perché molte pratiche contemporanee sfuggono agli schemi classici. Le opere non sono più solo oggetti da guardare, ma ambienti immersivi, processi aperti, interazioni tra materiali, corpi e dispositivi. Anche l’artista non è più l’individuo solitario, ma un punto dentro reti di collaborazioni, tecnologie e contesti. Il postumano aiuta a leggere questa trasformazione senza nostalgia, mostrando come l’arte oggi si sviluppi su piani multipli: ecologico, tecnologico, sociale.
Proprio per questo, il postumano richiede responsabilità. Non può diventare una formula alla moda usata per rendere “nuova” un’opera che resta tradizionale nei suoi meccanismi. La prospettiva postumana è critica: invita a interrogare i rapporti di potere, le economie dell’arte, le condizioni materiali del lavoro culturale. Chiede di guardare non solo a ciò che un’opera mostra, ma anche a come è stata prodotta, da chi, con quali risorse e per quali pubblici.
In Italia questa questione è particolarmente rilevante. Le istituzioni culturali oscillano tra ambizioni innovative e pratiche conservatrici, spesso limitate da modelli gerarchici, disuguaglianze territoriali, dipendenze economiche e retoriche sulla tradizione che finiscono per bloccare il cambiamento. Applicare il postumano al contesto italiano significa partire da queste condizioni reali: dalle eredità coloniali poco elaborate, dalle fragilità delle aree interne, dalla centralità del turismo e dalle disparità tra centri e periferie. Senza questa attenzione, il postumano rischia di restare un linguaggio importato, non una lente critica davvero utile.
La posta in gioco va oltre la teoria. Il postumano è un invito a trasformare non solo le opere, ma le istituzioni che le producono, i modi in cui lavorano, il rapporto con i territori e con le comunità. Significa ripensare i musei come spazi che non si limitano a esporre, ma costruiscono relazioni; considerare l’arte come un campo in cui umano, natura e tecnologia si co-determinano; immaginare politiche culturali che aumentino la nostra capacità collettiva di affrontare le crisi del presente.
In questo senso, il postumano non aggiunge una moda intellettuale, ma apre un orizzonte pratico: ci chiede di costruire sistemi culturali più giusti, più permeabili, più consapevoli delle interdipendenze che ci costituiscono. È qui che la teoria diventa utile: quando ci aiuta a cambiare concretamente il modo in cui concepiamo e realizziamo la cultura oggi.





