
DIGEST STRATEGICO – Mercoledì 26 novembre 2025
26 Novembre 2025
LA COREA DEL SUD PUNTA A ENTRARE NEL CLUB DELLE PRIME QUATTRO POTENZE IN MATERIA DI DIFESA
26 Novembre 2025
di Sabino Cassese
La fuga dalle urne, il non voto, una volta fenomeno marginale, è divenuto strutturale. Per circa trenta anni della storia repubblicana ha votato il 93 per cento degli aventi diritto al voto. Poi, per un quindicennio, l’87; più tardi il 73; alle elezioni politiche del 2022 quasi il 64; ora, nelle elezioni Regionali dei giorni scorsi, una minoranza, tra il 42 e il 45 per cento. Questo vuol dire che 5-7 milioni circa di elettori sono rimasti a casa, senza adempiere quello che la Costituzione definisce dovere civico.
Si apre così un fossato tra società e politica, molto preoccupante perché democrazia indica una società che si autogoverna, attraverso il suffragio universale, una conquista che è costata tanto tempo e tanta energia. Il continuo calo, che dura da circa un quarantennio, costituisce un fenomeno grave per lo stato di salute della democrazia. Tocqueville, nella prima metà dell’800, temeva che essa conducesse alla tirannide della maggioranza; dobbiamo ora temere che finisca nella tirannide di una minoranza?
Destra e sinistra hanno poco da festeggiare perché un analogo rifiuto delle urne si registra nelle regioni in cui l’una parte è prevalente e in quelle in cui è prevalente l’altra parte.
Come si spiega la crescente fuga dalle urne? La prima spiegazione sta nella diminuzione della partecipazione politica, quella visibile e quella invisibile, che ha visto negli ultimi anni una forte diminuzione e ha riguardato in particolare le persone tra i 18 e i 24 anni. «Tra il 2003 e il 2024, si è osservato un calo generalizzato della partecipazione invisibile (informarsi e discutere di politica). Nel 2003, ad informarsi con regolarità di politica era il 66,7 per cento degli uomini e il 48,2 per cento delle donne. Nel 2024 questi valori calano di 12,6 punti percentuali per gli uomini e di 5,7 punti per le donne». La recente analisi della partecipazione politica in Italia, svolta dall’Istituto nazionale di statistica, continua riferendo che «si informa di politica almeno una volta a settimana il 16,3 per cento dei ragazzi di 14-17 anni e poco più di un terzo dei 18-24enni. A non informarsi mai, invece, sono rispettivamente il 60,2 per cento e il 35,4 per cento». La politica interessa quindi sempre di meno.
La seconda spiegazione si trova nella forte diminuzione degli iscritti ai partiti. Questi avevano in passato un numero di iscritti superiore all’8 per cento degli elettori; ora non raggiungono il 2 per cento. Prima i partiti avevano una forte ramificazione: alcuni dei principali partiti avevano circa 20 mila sedi distribuite su tutto il territorio. Oggi le «forze politiche» sono sempre meno associazioni e sempre più piccole organizzazioni oligarchiche.
Alcuni ritengono che vi sia una terza spiegazione, l’apatia dell’elettorato, che però è in contrasto con la notevole partecipazione sociale degli abitanti, come dimostrato dal fatto che circa il 9 per cento è attivo nelle iniziative di volontariato. La spiegazione va piuttosto cercata nella qualità dell’offerta politica, e quindi all’interno degli stessi partiti. Il sistema politico è alimentato da una loro offerta. Quando questa incontra una domanda, si forma un consenso, registrato dal voto, e quindi dal sostegno popolare ad una maggioranza. Ora, sulla qualità dell’offerta potrebbe ripetersi quello che scriveva il 18 gennaio 1922, festeggiando il primo triennio di vita del suo partito, Luigi Sturzo: «la politica è diventata arte senza pensiero».
Essa ha acquisito molti elementi del populismo, tanto bene analizzato nell’ultimo libro dello storico e studioso di sociologia politica Marc Lazar, appena uscito a Parigi per i tipi di Gallimard, intitolato «Pour l’amour du peuple», che contiene una storia del populismo in Francia tra il diciannovesimo e il ventunesimo secolo. Lazar sviluppa l’idea che il populismo si fonda su una «ideologia leggera»: non formula piattaforme politiche, programmi, progetti per il futuro, si accontenta di slogan e semplificazioni. Questo accade ora in Italia. Il dibattito politico si svolge intorno ad ogni piccolo appiglio quotidiano senza alzare lo sguardo sui grandi problemi del nostro tempo. Le classi dirigenti parlano di temi diversi da quelli che interessano l’elettorato. Anche i politici che vedono chiaramente in dettaglio ciò che si trova nel loro orizzonte, finiscono spesso per non immaginare che l’orizzonte possa mutare. Anche persone che provengono dalle grandi tradizioni della politica italiana assistono impassibili alla elementarizzazione della politica, quella che si riduce nell’opposizione tra ricchi e poveri.
Questo produce anche un’asimmetria tra chi governa e chi fa opposizione, perché chi governa è costretto dal proprio ruolo a produrre provvedimenti e così dà un contenuto alla sua azione, mentre dall’altra parte rimane il vuoto.
La fuga dalle urne innesca un circolo vizioso: produce incertezza nelle forze politiche, che sanno di dover governare un Paese dando voce soltanto a un quarto dell’elettorato e quindi moltiplicano l’attenzione per le elezioni Regionali e locali, e per i sondaggi.
Un ultimo elemento critico dell’attuale situazione riguarda il brutto momento che sta attraversando l’autonomia regionale a causa della tendenza a «nazionalizzare» il dibattito che precede ed accompagna le elezioni Regionali: questo finisce per essere dominato dai temi nazionali e spesso internazionali, invece che dalla capacità amministrativa delle regioni.





