L’Italia pagherà più di 100 miliardi di interessi passivi sul debito pubblico sia nel 2023 sia nel 2024. E lo spread potrebbe volare ben oltre quota 210 punti base già a fine anno. Uno scenario che metterebbe ancora più sotto pressione i conti dello Stato. Fonti del Tesoro confermano che «è una possibilità concreta». Tutt’altro che remota, secondo gli analisti di Citi e Jefferies. A incidere, da ottobre, la riduzione degli acquisti di titoli governativi da parte della Banca centrale europea (Bce). Il ministro del Mef, Giancarlo Giorgetti, da Pontida parla di 14 miliardi di euro in più di spesa per interessi nel prossimo anno. Ma già in questo esercizio potrebbero essere di più, visto che si passerà quota 100, dopo gli 83,5 miliardi certificati dalla Corte dei Conti per il 2022.
Gli effetti dei rialzi dei tassi della Bce iniziano a farsi sentire. La finanza pubblica italiana rischia di esserne una delle vittime. Dal prossimo mese, come lasciato intendere da Francoforte a luglio, si proseguirà con la riduzione del bilancio dell’Eurotower. Tradotto: meno titoli di Stato da comprare. L’Italia dovrà quindi scendere sul mercato con i tassi attuali, vicini al 4,50%. Ne deriverà un costo accessorio per i rendimenti promessi. Già quest’anno saranno sorpassati i 100 miliardi di euro per gli interessi passivi sul debito, come spiegano fonti del Tesoro. E il quadro non migliorerà nel 2024. Le strette monetarie, in altre parole, possono impattare per circa 20 miliardi l’anno. Valori, come rimarcano invece fonti finanziarie, che potrebbero essere peggiorati da un eventuale impasse sulla legge di Bilancio e sugli altri dossier caldi del governo Meloni. E cioè, l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e la discussione sulla ratifica del nuovo trattato del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Il tutto senza contare la tassa sugli extraprofitti degli istituti di credito, che ha fatto perdere il sonno a più di un banchiere.
Gli analisti si sono già mossi nel valutare le conseguenze e i rischi correlati al Paese. Secondo Citi, l’accelerazione della riduzione dei bond in pancia di Francoforte porterà il differenziale di rendimento tra i Btp a 10 anni e il Bund tedesco di pari entità a quota 190 punti base a fine anno. Dieci punti in più rispetto a oggi. Ma si toccherebbero i 210 punti base nei primi tre mesi del 2024. «Meno acquisti da parte della Bce avranno ripercussioni anche sulle nostre aste», commenta un alto funzionario del Mef. Analoga visione è fornita dagli economisti di Jefferies. I quali notano come ci sia una tendenza in atto. Da un lato, il debito italiano (oltre 2.850 miliardi di euro) è richiesto perché è meglio remunerato. Dall’altro, per Roma i costi vivi si stanno alzando sempre più.
Il timore, confermano più fonti bancarie, non è che si torni a una situazione simile a quella dell’autunno 2011, quando lo spread finì al pirotecnico livello di 575 punti base. Ma, come sottolineato da Citi e Morgan Stanley, ci sarà molta pressione sul debito italiano. «Il deficit sarà più elevato delle previsioni, ben oltre il 4,5% programmato in primavera, e l’incertezza del governo sui temi chiave potrebbe determinare una richiesta di maggiori tassi in collocamento», fa notare Citi. Il risultato sarebbe una inevitabile riduzione dello spazio fiscale non solo per la corrente legge di Bilancio, ma anche per la successiva. Con un fardello ulteriore di 20 miliardi l’anno, sottolinea Jefferies, varare iniziative a supporto della crescita economica potrebbe essere «molto impegnativo». Ed è proprio questo «il punto cruciale per l’Italia nei prossimi anni». Con uno spread sopra i 200 punti base sarà ancora più difficile.