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Note sulla politica senese che non si fa vedere
di Pierluigi Piccini
Il silenzio di oggi non è una pausa. È una tecnica.
A Siena, quando una questione è davvero politica — quando cioè tocca gli equilibri di potere reali e non solo le dichiarazioni di facciata — la risposta tipica non è il dibattito ma l’assenza di dibattito. Si aspetta. Si telefona. Si media in privato. Si evita che la questione diventi pubblica, perché renderla pubblica significherebbe doversi schierare, e schierarsi significherebbe rompere equilibri che a tutti conviene mantenere.
La maggioranza senza visione
La maggioranza attuale si trova in una posizione paradossale: governa la città ma non ne controlla le leve strategiche. Non per cattiva volontà, probabilmente, ma per una debolezza strutturale che ha radici lontane.
Quando l’Università — attraverso il Santa Chiara Lab — si muove su terreni come la promozione del territorio, l’innovazione agroalimentare, la comunicazione di Siena al mondo, sta occupando spazi che dovrebbero essere presidio naturale dell’amministrazione comunale. Ma il Comune non reagisce. Non contrasta, non coordina, non propone alternative. Semplicemente assiste.
Questa inerzia non è solo una questione di competenze tecniche. È l’esito di un lungo processo di subalternità culturale: l’idea che la “vera” intelligenza della città stia altrove — nell’accademia, nei consorzi, nelle fondazioni — e che alla politica resti il compito di ratificare, facilitare, non disturbare.
Il risultato è una maggioranza che non riesce più a immaginare se stessa come soggetto propositivo. Che amministra l’ordinario ma abdica sullo straordinario. Che gestisce i servizi ma rinuncia alla visione.
L’opposizione che non si oppone
Ma ancora più interessante è il comportamento dell’opposizione. Perché se la maggioranza è debole per incapacità, l’opposizione è assente per scelta — o per affinità elettiva.
L’opposizione consiliare, almeno nella sua componente più strutturata, tende a sovrapporsi — non a contrapporsi — all’apparato universitario. Questo accade perché:
- Condivide una cultura: l’idea che il sapere tecnico-accademico sia superiore alla mediazione politica
- Trova nell’Università un interlocutore più credibile: meglio dialogare con chi produce ricerca e progetti che con un Comune percepito come inadeguato
- Non vuole apparire “contro” l’innovazione: criticare iniziative che sulla carta sono positive (cultura, ricerca, territorio) la esporrebbe all’accusa di essere conservatrice o ostruzionista
Il paradosso è che questa opposizione finisce per essere funzionale al sistema che dovrebbe controllare. Non chiede conto al Comune della sua marginalità. Non pretende che la politica riprenda il suo ruolo. Anzi, legittima l’idea che sia normale che altri decidano.
I pontieri: l’arte del non-rompere
In questo schema si muovono i pontieri. Figure che a Siena hanno una tradizione antica: mediatori informali, tessitori di relazioni, specialisti del compromesso preventivo.
Non hanno cariche ufficiali, ma hanno accesso. Non decidono formalmente, ma orientano. Il loro lavoro consiste nel far sì che i conflitti non emergano mai come tali, che le contraddizioni vengano riassorbite prima di diventare pubbliche, che ogni tensione trovi una via di fuga laterale.
Sono gli artigiani della continuità. E in una città che teme il cambiamento più di ogni altra cosa, sono figure indispensabili.
Ma questa mediazione permanente ha un costo: impedisce che si formino alternative reali. Perché ogni volta che qualcuno prova a forzare, a rompere, a dire “o di qua o di là”, i pontieri intervengono per ricondurre tutto dentro il perimetro del possibile — che coincide sempre con il perimetro dell’esistente.
Chi governa davvero?
La domanda allora diventa: se il Comune non coordina, se l’opposizione non si oppone, se l’Università agisce in autonomia su materie che dovrebbero essere pubbliche, e se i pontieri mediano tutto in privato… chi governa davvero Siena?
La risposta non è semplice, perché non c’è un soggetto unico. C’è piuttosto un sistema di interdipendenze dove nessuno ha il potere di decidere da solo, ma alcuni hanno il potere di impedire che altri decidano.
L’Università ha la forza progettuale e la credibilità culturale.
Il Comune ha la legittimità formale ma non la capacità di indirizzo.
L’opposizione ha la possibilità di contestare ma non l’interesse a farlo.
I pontieri hanno la capacità di tenere insieme tutto, impedendo che nulla cambi davvero.
È un equilibrio stabile. Forse troppo.
Il prezzo del silenzio
Questo modello produce alcune conseguenze:
Frammentazione: Siena si racconta con molte voci ma senza una narrazione unitaria. Ogni soggetto presidia un pezzo della città — il turismo, la cultura, l’università, l’enogastronomia — ma nessuno è più in grado di tenere insieme il quadro.
Opacità: le decisioni si prendono in sedi informali, attraverso telefonate e incontri riservati. Il dibattito pubblico è una finzione che ratifica scelte già prese altrove.
Assenza di responsabilità politica: se nessuno decide pubblicamente, nessuno risponde pubblicamente. Tutto diventa tecnico, neutro, inevitabile.
Impossibilità del conflitto generativo: quello che serve per far emergere priorità diverse, visioni alternative, scelte coraggiose.
La rottura possibile (ma improbabile)
Questo sistema potrebbe reggere ancora a lungo, perché a tutti conviene. Ma ha un punto debole: funziona solo finché tutti tacciono.
Basterebbe che un pezzo della maggioranza decidesse di rivendicare un ruolo pubblico forte. O che un pezzo dell’opposizione smettesse di inseguire l’Università e cominciasse a incalzare il Comune. O che qualcuno — dentro o fuori le istituzioni — rendesse visibile ciò che oggi è invisibile: i processi, le telefonate, i patti non scritti.
Ma per farlo servirebbe qualcosa che a Siena scarseggia: l’interesse a rompere.
Perché finché tutti stanno dentro il sistema, nessuno ha davvero da guadagnare nell’uscirne. I pontieri continueranno a mediare, la maggioranza a subire, l’opposizione a confondersi, l’Università a espandersi.
E il silenzio resterà la forma più efficace di governo.
Postscriptum
Forse la vera domanda non è “chi governa Siena”, ma “a chi serve che nessuno governi davvero?”.
Perché in una città dove il potere è diffuso, opaco, mediato, nessuno può essere chiamato a rispondere. E l’irresponsabilità collettiva diventa il principio organizzatore della politica.
Fino al momento — se mai verrà — in cui qualcuno deciderà che vale la pena pagare il prezzo della rottura.
Si tratta di un’analisi critica, fondata su osservazioni pubbliche e percezioni del dibattito cittadino.
Nota sulle fonti:
Il presente testo si basa su elementi di dominio pubblico, discussioni e documenti istituzionali accessibili, notizie apparse su stampa locale e nazionale (tra cui La Nazione Siena, Corriere di Siena, Agenzia ANSA Toscana, QN Toscana Oggi), nonché osservazioni del dibattito politico cittadino emerse nel corso degli ultimi mesi. Nessuna informazione riservata o personale è stata utilizzata.





