«Se non ti dispiace, intanto preparo un caffè». Seppur telefonica, la conversazione con Eugenio ha ritmi e dettagli di un incontro di persona, come quello di tanti anni fa che difficilmente potrebbe ricordare. «Spero di non essere stato troppo str…o, quella volta», dice con infondata preoccupazione. È appena arrivato a Sorrento e un soundcheck lo attende in cattedrale, tappa del tour che porta in scena la sua Euphonia Suite. «Però non canterò Un uomo», precisa sul controcanto della macchina per l’espresso. «Non potevo dire “scopare” in chiesa, così l’ho sostituito con Torna a Surriento. È una sorpresa, tanto il tuo articolo non uscirà mica prima di stasera!». Il nuovo album nasce da un decennio di concerti con il sassofonista Raffaele Casarano e il pianista Mirko Signorile, compagni di rilettura jazz del suo repertorio, «ma con un’armonizzazione contemporanea, senza manierismi, lavorando sull’enarmonia». Un atteggiamento che il cantautore ricollega a Keith Jarrett: «Mi ha fulminato, con Miles Davis nel 1971, quando ero in America all’università. La sua musica contiene tutte le musiche».

A FARE da pre-produzione, invece, l’ultimo live pre-covid, registrato dal suo telefonino. «Durante il lockdown lo ascoltavo durante le lunghe passeggiate col mio cane. A un certo punto mi sono stufato del parlato, così l’ho tagliato, legando i pezzi, fino all’idea di questa suite, una mega canzone, o una meta canzone se vuoi, una storia i cui capitoli sono singoli brani mescolati storicamente. Prendi Soweto, parla di cose che mia figlia non ha vissuto… ma abbiamo cercato di aggiungere significato mischiando le canzoni».

Una suite «in senso ottocentesco», divisa in movimenti anche per un altro accordo storico, quello con il vinile: «Quattro facciate e quattro movimenti. L’introduzione che espone i temi, il momento introspettivo, l’Allegro con la parte swingata in inglese, e il finale più rivolto ai contenuti». Finale in cui brilla la sua commossa interpretazione di Una notte in Italia: «È un pezzo che mi tocca profondamente, al verso “Io qui ho un pallone da toccare col piede” mi si rompe la voce ogni volta e non capisco perché! Non so cosa voglia dire, Ivano, e non glielo chiedo nemmeno. Ma ne ho parlato persino con la mia analista». Al cantautore genovese, più o meno inconsciamente, lo accomuna anche un gesto canoro che galleggia sul tempo, un rubato che per Eugenio è un modo di vivere: «Rubo tutto, mangio in avanti, è una mia caratteristica. Ma stavolta ho voluto concedermi più tempo».

La trap è un linguaggio generazionale come lo era il nostro. Le stesse accuse che le si muovono oggi Umberto Bindi avrebbe potuto rivolgerle ai songwriter anglosassoni.

NE CONCEDE più del dovuto anche all’intervistatore, mentre il caffè è uscito da un pezzo, il soundcheck si avvicina e il tempo è sempre il presente, scandito da una musica che per Finardi è anch’essa ribelle. «La trap è un linguaggio generazionale come lo era il nostro. Le stesse accuse che le si muovono oggi Umberto Bindi avrebbe potuto rivolgerle ai songwriter anglosassoni. Se ci pensi la musica ha bisogno di bassi per la tonalità e la pulsione ritmica, di alte frequenze che definiscono lo spazio, e di medie che dettano l’armonia. Prima ci voleva un orchestra, poi Beatles e Stones hanno imposto due chitarre, basso e batteria. Ora è ancora più semplificato, un campionamento con la TR808, un pattern ritmico in sedicesimi, pad e voce… C’è molto della nostra epoca, è molto “Ponte di Calatrava”!». Dal presente al futuro prossimo. Afferma che Euphonia Suite potrebbe essere l’ultimo disco come cantautore, anche se continua a scrivere quelle che chiama le sue «canzoni postume». Poi si dedicherà al blues, «Quando andrò in pensione, verso i 77 anni…». Ce n’è, di tempo da rubare ancora.