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28 Ottobre 2025
Mi scuso se torno ancora una volta sulla cosiddetta “mostra del Vecchietta”, ma alcuni passaggi meritano di essere precisati. Il 25 ottobre 2025 il Santa Maria della Scala ha inaugurato un nuovo percorso dedicato a Lorenzo di Pietro, detto il Vecchietta. Illuminazione rinnovata, pavimentazione recuperata, teche moderne: un allestimento curato, ma ben diverso da quanto era stato annunciato. La “grande mostra internazionale” promessa un anno fa si è trasformata in un riallestimento permanente. E nessuno spiega perché.
Nel giugno 2024 il presidente della Fondazione, Cristiano Leone, aveva presentato un progetto ambizioso: una mostra “senza precedenti”, curata da Giulio Dalvit della Frick Collection di New York, in collaborazione con Opera del Duomo, Pinacoteca, Archivio di Stato e Museo Diocesano. Doveva riunire per la prima volta le opere del Vecchietta realizzate per lo Spedale e oggi disperse in diverse sedi, fungendo da ponte con la Frick, che nel 2026 ospiterà una mostra sulla bronzistica senese.
A settembre 2025, però, tutto cambia. Niente più mostra temporanea, ma un “riallestimento permanente”. La motivazione ufficiale è la volontà di utilizzare il finanziamento ministeriale di 1,1 milioni di euro per “interventi identitari, non effimeri”. Una formula che sembra più una giustificazione a posteriori che una scelta ponderata.
L’inaugurazione del 25 ottobre ha riguardato solo le opere già presenti nel museo: nuovo impianto di illuminazione, ricollocazione dell’Arliquiera, nuova struttura per il Cristo bronzeo. Nessun prestito, nessuna opera riunita. In sostanza, un aggiornamento museografico, non un evento espositivo.
Anche la risposta mediatica conferma la reale portata dell’operazione: un breve lancio ANSA e pochi servizi locali (Siena News, Gazzetta di Siena, Canale 3, RadioSienaTv). Nessuna traccia su testate internazionali come The Art Newspaper, Artnet, Apollo, Burlington Magazine, Artforum. Se davvero si fosse trattato di una mostra di rilievo internazionale, la stampa specializzata ne avrebbe parlato. Il silenzio, in questo caso, è eloquente.
Una mostra monografica avrebbe avuto un valore scientifico e divulgativo notevole. Ma un riallestimento che trasforma il piano monumentale in un “museo del Vecchietta” rischia di impoverire la complessità del Santa Maria della Scala, dove operarono anche Domenico di Bartolo e Priamo della Quercia. “Spero che i senesi comprendano lo sforzo dietro questa iniziativa”, ha dichiarato la sindaca Nicoletta Fabio: parole più difensive che celebrative.
Sul piano scientifico resta significativo il contributo della monografia di Giulio Dalvit, edita da Paul Holberton Publishing. Dottorato al Courtauld Institute, Dalvit è oggi Associate Curator of Sculpture alla Frick e autore di studi su Warburg and Courtauld Institutes Journal, Prospettiva e Burlington Magazine. Tuttavia, definire il volume “la prima monografia dal 1937” è fuorviante: trascura i contributi fondamentali di Van Os, Bertelli, Carli, Bagnoli e altri studiosi che, negli ultimi decenni, hanno approfondito l’opera del Vecchietta.
Resta senza risposta la domanda centrale: perché il cambio di rotta? Difficoltà nei prestiti, costi assicurativi, problemi organizzativi? Quanto è costato il progetto originario? E perché nessuno degli enti coinvolti ha sentito il bisogno di chiarire? Trasformare un probabile insuccesso organizzativo in “scelta strategica di permanenza” è un espediente ricorrente nella comunicazione istituzionale. Ma la mancanza di trasparenza lascia intendere che la realtà sia meno nobile delle dichiarazioni ufficiali.
Il nuovo percorso resterà visitabile fino al 29 marzo 2026: una data che contraddice l’idea stessa di “permanenza”. Intanto, Leone annuncia un “masterplan complessivo” del complesso, coordinato da Luca Molinari. Resta da capire se questo piano saprà restituire equilibrio a un progetto che, al momento, riduce un complesso millenario a museo di un solo artista – e che fine abbia fatto la “grande mostra internazionale” pensata come ponte con gli Stati Uniti.
Per ora, è finita nel limbo delle promesse non mantenute. E il silenzio della stampa internazionale resta la prova più evidente.





