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La pace tra Russia e Ucraina non dipenderà soltanto dalle armi, ma dalle garanzie politiche che l’Occidente sarà in grado di offrire a Kiev. È questo il cuore della trattativa che si sta svolgendo tra Stati Uniti, Europa e NATO. Fermare i combattimenti non basta: serve un quadro credibile di sicurezza, altrimenti ogni compromesso rischia di essere effimero.
Donald Trump ha ribadito che non manderà soldati americani sul suolo ucraino, ma ha aperto alla possibilità di un impegno simile all’articolo 5 della NATO, cioè una protezione politica che scoraggi Mosca da nuove offensive. In questo modo Washington si propone come garante, mantenendo però un margine di distanza che consenta di non restare invischiata in un conflitto diretto.
In Europa le divisioni restano profonde. I Paesi baltici e nordici invocano una deterrenza forte, convinti che senza una presenza tangibile l’Ucraina resti vulnerabile. Germania e Italia, più caute, insistono invece su misure chiaramente difensive, temendo che un eccesso di pressione spinga la Russia a nuove provocazioni. Francia e Regno Unito cercano di ritagliarsi un ruolo di leadership, proponendosi come coordinatori di un comando congiunto che segnalerebbe una capacità autonoma di iniziativa europea.
La NATO cammina su un filo sottile. Non intende diventare parte diretta del conflitto, ma non può neppure restare estranea al nuovo equilibrio che si sta delineando. Per questo immagina un coinvolgimento “limitato”, più politico che militare, sul modello della penisola coreana: un equilibrio congelato, garantito dalla presenza di più attori internazionali, senza basi americane permanenti ma con un impegno costante di vigilanza.
Il vero interrogativo riguarda la reazione del Cremlino. Per Mosca, un pacchetto di garanzie che avvicini l’Ucraina all’ombrello occidentale potrebbe essere letto come un ulteriore accerchiamento, anche se presentato come misura puramente difensiva. È il rischio che tutti i negoziatori hanno davanti: costruire un sistema abbastanza solido da rassicurare Kiev, senza renderlo così invasivo da far saltare il tavolo con la Russia.
Il tempo stringe. Ogni giorno che passa senza un accordo chiaro rende più fragile il cessate il fuoco e aumenta la possibilità di nuove tensioni sul campo. La posta in gioco non è solo la sicurezza dell’Ucraina, ma l’equilibrio politico europeo per i prossimi decenni. La domanda è semplice e al tempo stesso decisiva: chi guiderà davvero questo processo e quali limiti sarà disposto ad accettare? Da qui passa il futuro della pace.