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Lo studioso britannico Colin Crouch è uno dei più fini interpreti del cambiamento politico e sociale in corso. Noto per il suo libro sulla post-democrazia, il 2 luglio parteciperà al Bergamo Festival 2023, dedicato al tema Conflitti. L’umanità alla prova. Mentre si trovava nel suo buen retiro sulle colline dell’Umbria, abbiamo dialogato con lui sulla grande «tensione democratica» che affligge oggi l’Europa: quella fra l’esigenza di collaborazione sovranazionale per la gestione dei principali problemi, da un lato, e le pulsioni sovraniste volte a difendere a spada tratta gli interessi «della nazione», dall’altro lato.
MAURIZIO FERRERA — Al Festival di Bergamo discuterai di crisi del clima e nuovi nazionalismi. Due fenomeni tra loro incompatibili?
COLIN CROUCH — Le principali sfide oggi da fronteggiare riguardano questioni di scala globale, come il cambiamento climatico, le pandemie, i flussi migratori. Per essere efficaci, le risposte richiedono la collaborazione internazionale, in Europa l’azione congiunta degli Stati membri. Le dinamiche politiche all’interno dei Paesi premono invece nella direzione opposta: soluzioni nazionali, che non mettano in discussione la sovranità. È una tensione che si è amplificata durante le crisi dell’ultimo quindicennio e che non dà segni di attenuazione.
MAURIZIO FERRERA — Le tre sfide hanno però caratteristiche diverse. I confini si possono davvero chiudere davanti ai profughi, anche se ciò può significare naufragi e vittime innocenti. Almeno nel breve o medio periodo, ci si può illudere di risolvere la sfida dell’immigrazione attraverso lo scaricabarile verso altri Paesi, una strategia che non si può invece praticare quando si tratta di pandemie o di mutamento climatico.
COLIN CROUCH — Vero. È chiaro tuttavia che i flussi migratori dipendono da squilibri enormi fra regioni del mondo. Le attuali modalità di gestione sono non solo inumane, ma anche disfunzionali, visti gli andamenti demografici europei. Con respingimenti e scaricabarile si può mitigare un’onda, ma dietro di questa se ne profilano subito altre, sempre più grandi. L’illusione di potersi rinchiudere nei propri confini viene sfruttata dai partiti della destra nazionalista per guadagnare voti. È una tentazione irresistibile. Il nazionalismo si nutre di paure, ha successo quando un problema fornisce l’occasione buona per attivare la contrapposizione fra «noi» e «loro».
MAURIZIO FERRERA — Anche all’inizio della pandemia i governi hanno cercato di elevare barriere: fu ad esempio sospeso il regime di Schengen. Poi però si è capito che non serviva a nulla.
COLIN CROUCH — Nel Regno Unito invece alcuni temporanei successi nella diffusione dei vaccini rispetto all’Unione Europea sono stati opportunisticamente utilizzati per giustificare la Brexit: vedete, abbiamo fatto bene a uscire, da soli possiamo fare meglio. I partiti, laburisti compresi, devono difendere la loro scelta di uscire dall’Ue.
MAURIZIO FERRERA — A proposito di Brexit, molti preconizzavano una nuova ondata di irredentismo scozzese.
COLIN CROUCH — La Scozia ha in effetti fatto leva sulla Brexit per rinsaldare il sentimento indipendentista. In Europa non c’è solo il nazionalismo degli Stati, ma anche il separatismo delle cosiddette nazioni senza Stato, come la Scozia o la Catalogna. Questo separatismo tende a scegliere l’Europa come alleato contro il proprio governo nazionale. Le identità territoriali sono immagini costruite, ciascuna può scegliersi il proprio nemico. Fu così anche in Italia ai tempi della Lega Nord di Umberto Bossi. I nemici erano il Sud e Roma, Bruxelles era invece ben vista.
MAURIZIO FERRERA — La Lega è nel frattempo cambiata, approdando al nazionalismo vero e proprio. In questa trasformazione, ha spostato l’enfasi dalla dimensione identitaria (pensiamo ai simboli della Padania) a quella economica. Prima gli italiani vuol dire soprattutto prima gli interessi degli italiani: i soldi, il lavoro, il welfare.
COLIN CROUCH — In effetti il nazionalismo fa leva su tre dimensioni. C’è innanzitutto quella dell’identità culturale, dell’appartenenza allo stesso popolo, alla stessa comunità territoriale. Il tema dell’identità nazionale ha riempito il vuoto lasciato dalle appartenenze di classe e religiose. La religione è rimasta rilevante come perno di aggregazione politica solo negli Stati Uniti. Ma i partiti nazionalisti competono anche su altre due dimensioni. Quella degli interessi, innanzitutto: come hai detto tu, reddito, opportunità di lavoro, accesso al welfare, da riservare ai nativi. E infine la dimensione dei valori e dei comportamenti sociali: sacralizzazione della famiglia tradizionale, stigmatizzazione dell’omosessualità, delle unioni arcobaleno, della maternità surrogata. Non necessariamente le tre dimensioni devono essere presenti nello stesso tempo, o avere la stessa salienza. E ci può essere competizione su questi tre assi all’interno della destra. Lo spostamento della Lega dalla dimensione dell’identità a quella degli interessi, da te evocata, può avere contribuito al suo declino elettorale rispetto a Fratelli d’Italia, capace invece di fare leva sul simbolismo identitario della vecchia destra nazionale. Solo nei Paesi dell’Europa centrale e orientale i partiti nazionalisti (pensiamo a Viktor Orbán) cavalcano tutte e tre le dimensioni contemporaneamente. Per questo riescono ad avere un forte radicamento sociale.
MAURIZIO FERRERA — Oltre alla strategia identitaria, anche Giorgia Meloni sembra avere una ben chiara strategia di attrazione elettorale basata sugli interessi. Pensiamo all’equazione fra tasse e «pizzo di Stato», che ricorda gli slogan poujadisti francesi degli anni Cinquanta contro lo «Stato vampiro».
COLIN CROUCH — Nei Paesi del Sud Europa, con strutture sociali ancora oggi molto frastagliate, i partiti nazionalisti possono lanciare appelli ad alcuni settori tradizionalmente ostili all’intervento dello Stato: non perché liberali, ma perché espressione di culture politiche arretrate. Negli altri Paesi il tema dominante resta invece l’immigrazione, declinata in termini di contrapposizione etnica e religiosa. Nel Regno Unito i sondaggi indicano che l’arrivo dei profughi è in cima alle preoccupazioni degli elettori. È un dato difficile da comprendere, visto che parliamo di numeri bassi. Ma nell’immaginario popolare questo fenomeno viene percepito come una grave minaccia ai valori della tradizione inglese.
MAURIZIO FERRERA — In realtà anche la Lega e Fratelli d’Italia sfruttano questa contrapposizione. Così come si sforzano di politicizzare i temi della famiglia e i diritti delle persone Lgbtq+.
COLIN CROUCH — In questo caso è chiaro il richiamo ai valori del conservatorismo cristiano, non più politicamente rappresentato in Italia e in molti altri Paesi europei.
MAURIZIO FERRERA — Abbiamo parlato di pandemie e immigrazioni; resta la prima grande sfida da te evocata: il cambiamento climatico. In questo caso è più difficile giustificare e insistere su soluzioni puramente nazionali.
COLIN CROUCH — Infatti qui la strategia nazionalista tende piuttosto a minimizzare, quando non a negare del tutto, la sfida. Ricordiamo l’ostinato negazionismo al riguardo dell’ex presidente americano Donald Trump. È una reazione che abbiamo visto anche durante la pandemia all’interno del mondo no vax: fare finta che la sfida non ci sia, delegittimare gli esperti, dare vita a teorie del complotto. In altre parole, creare artificiose divisioni fra due diversi gruppi di «credenti», attivando, di nuovo, la dimensione dell’identità.
MAURIZIO FERRERA — Le politiche di mitigazione del rischio climatico stanno già provocando anche contrapposizioni di interessi.
COLIN CROUCH — Certo, così è già stato nel caso dei Gilet gialli in Francia e così sta avvenendo con la mobilitazione degli agricoltori olandesi per effetto dei rincari dell’energia e dei nuovi limiti alle emissioni inquinanti. Così come nel caso dell’immigrazione, anche le politiche ambientali sono destinate a diventare fonte di conflitto. A parte pochi casi, in Europa i partiti populisti e nazionalisti di destra hanno registrato nel tempo ampie oscillazioni elettorali, è stato così anche in Italia. Le tensioni eco-sociali possono fornire nuova legna al fuoco nazionalista. Fornendo occasioni per coniugare appelli identitari (non credete all’emergenza climatica) con appelli basati su interessi.
MAURIZIO FERRERA — Parliamo un po’ di che cosa succede dall’altra parte dello spettro politico. Dopo tutto, i partiti nazionalisti rappresentano minoranze.
COLIN CROUCH — Sì, certo. Se escludiamo i Paesi dell’Europa centro-orientale, la maggioranza dei cittadini non accetta l’agenda di questi partiti. I giovani elettori restano aperti e cosmopoliti, e sono molto più sensibili alla questione climatica, che toccherà personalmente i loro figli.
MAURIZIO FERRERA — Quindi resta spazio per l’area di sinistra?
COLIN CROUCH — Nella maggioranza dei Paesi quest’area è occupata da due famiglie politiche: i socialdemocratici e i verdi. Questi ultimi hanno accettato l’agenda socialdemocratica: riformismo pragmatico, sostegno al welfare, alla stabilità occupazionale e così via. Il problema è la ancora bassa capacità di adattamento delle socialdemocrazie, che fanno molta fatica, dal punto vista culturale oltre che politico-sociale, ad allinearsi pienamente e concretamente all’agenda verde. Quest’ultima comporta scelte difficili, soprattutto per i sindacati: pensiamo alle riconversioni produttive (ad esempio nel caso dell’auto) necessarie per adattarsi al cambiamento climatico. Come dimostra il caso tedesco, i rapporti fra partiti ecologisti e partiti socialdemocratici restano conflittuali.
MAURIZIO FERRERA — Manca anche la disponibilità di quest’area politica (verdi compresi) a schierarsi esplicitamente per un’Europa più solidale. Il programma Sure (che durante la pandemia è stato essenziale per co-finanziare le casse integrazioni nazionali) è stato lasciato scadere senza che le sinistra dicesse una sola parola.
COLIN CROUCH — In seno al Parlamento europeo si registra una certa convergenza fra i partiti di sinistra sulle politiche di solidarietà, ma le elezioni si giocano ancora nelle arene nazionali, ciò che conta sono le questioni nazionali purtroppo.
MAURIZIO FERRERA — D’accordo, ma in questo modo non si uscirà mai dalla trappola nazionale, né si riuscirà a salire di scala nella risoluzione delle grandi sfide di oggi.
COLIN CROUCH — Non posso che darti ragione. Se raffrontiamo la situazione di oggi con quella degli anni Novanta, quando sia i popolari sia i socialdemocratici sostennero con convinzione il salto di qualità dell’Unione economica e monetaria, non possiamo che rammaricarci che non ci sia oggi nessuno a parlare a favore di più Europa. Non dopo la pandemia, almeno.
MAURIZIO FERRERA — Eppure fra un anno ci saranno le elezioni europee. Dal dibattito è peraltro scomparsa la sinistra francese.
COLIN CROUCH — In effetti France Insoumise, il partito di Jean-Luc Mélenchon, è esso stesso nazionalista. Credo però che la chiave di tutto ce l’abbiano i socialdemocratici tedeschi. Francamente, non so se la sinistra sia oggi nelle condizioni di riempire il grande vuoto lasciato dal declino della politica di classe novecentesca.
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