Joseph Beuys 40 Years of Drawing
15 Gennaio 2023Ritratti di amici straordinari
15 Gennaio 2023
di Gianpiero Rossi
«Le persone di strada non si lasciano fotografare. Anzi, quando se ne accorgono si incazzano proprio e qualcuno può diventare pure pericoloso». Pausa. Gli occhi saettano dall’una all’altra immagine. E sussurra, praticamente a sé stesso: «Eppure alcuni guardano dritto nell’obbiettivo… Sguardi di sfida ma anche di rassegnazione. Qualcuno sembra persino ironico, gioca con il fotografo. Per esempio questo qui che fa il cannocchiale con le dita: un po’ lo prende in giro, un po’ si copre il volto. Ma in ogni caso, pare di cogliere in queste pose la consapevolezza piena della propria condizione».
Aldo Scaiano parla per esperienza diretta. Conosce bene le «persone di strada», come definisce quelli che in molti chiamano clochard (forse perché il francese alleggerisce certi concetti), perché anche lui lo è stato. Per sei anni. Non ne parla volentieri, ma ricorda benissimo tutto, sin dalla prima notte alla Stazione Centrale di Milano: «Impossibile dimenticarla: vestito ancora per bene, con il libro in mano sembravo un passeggero che aveva perso l’ultimo treno. Ma già alla seconda notte i poliziotti ti riconoscevano. Così ho iniziato a girare per la città, per un po’ ho dormito, o meglio non dormito, sotto i portici di piazza Napoli, fino a quando ho scoperto gli aeroporti». Due anni a Linate, poi Malpensa, dove «la notte di Natale un addetto alle pulizie ci portò il panettone». Tra i primi esperti di informatica della sua generazione, Aldo ha lavorato in grandi aziende. E aveva una famiglia. La sua caduta verticale assomiglia a quella di altri senzatetto: separazione traumatica in età matura, lavoro che se ne va, il prepensionamento che si rivela una trappola previdenziale, il gruzzoletto di risparmi che si assottiglia a velocità incontrollabile, quindi — a 63 anni — il vuoto. Compreso quello scavato con le proprie mani per isolarsi da amici e parenti. Poi, con l’aiuto della rete di solidarietà milanese, si è lentamente ritrovato. Fino a diventare a sua volta un volontario: da anni è il presidente dei «Gatti spiazzati», un gruppo di ex senzatetto che la Caritas ha trasformato in guide turistiche per visite di una Milano diversa, quella della strada. È quindi una guida preziosa anche per visitare in anteprima la mostra Lee Jeffries. Portraits. L’anima oltre l’immagine, al Museo Diocesano di Milano dal 27 gennaio.
Il fotografo britannico autodidatta, narratore per immagini dei poveri e degli emarginati, espone una cinquantina di volti dell’umanità emarginata — spesso invisibile o comunque evitata — che ha incrociato (anche più volte) negli anni lungo le strade delle metropoli europee e americane. E Aldo Scaiano, prima ancora di sapere dove sono state scattate quelle foto, lo coglie: «Questa non è la realtà delle nostre strade, da noi sono davvero pochi quelli conciati così male, perché da mangiare e da vestirsi se ne trova facilmente e anche di occasioni per lavarsi». Pausa, lo sguardo si posa sul primo piano di un visino sporco e bellissimo, con due occhi enormi che bucano l’obbiettivo e lo stomaco di chi guarda. «Ecco, se ci fai caso, qui da noi per strada di bambini non se ne vedono, per fortuna. Guarda che occhi questo bimbo qui».
Mormora ancora qualcosa, finge distacco ma si capisce che quelle immagini non lo lasciano indifferente. Poi recupera il suo tono da veterano e racconta dei circuiti che «le persone della strada» frequentano quotidianamente, seguendo un passaparola che è parte integrante di quelle reti di solidarietà: «Quando uno viene a sapere che in un posto regalano qualcosa che può interessare lo dice subito agli altri e a parte i casi patologici, di solito ci si divide quello che c’è, soprattutto il cibo». Ma intanto continua a fissare i ritratti che compongono la mostra in allestimento, inquadrature in primo piano, in un bianco e nero molto contrastato: «Qui vedo tanta rassegnazione, accettazione della propria condizione, queste foto raccontano uno dei passaggi che si vivono per strada. Anch’io a un certo punto avevo deciso di lasciarmi andare. Avevo lasciato scadere la patente, il certificato elettorale, poi anche la carta d’identità… È il momento in cui ti spogli degli ultimi residui della persona che sei stato prima». Ma nel suo caso, poi, è stato proprio un pezzo del suo passato a salvarlo da un futuro di definitiva emarginazione: il computer. I volontari che lo intercettavano nei suoi luoghi di dimora improvvisata lo hanno convinto a dare lezioni di informatica ad altre persone che cercavano una via di sopravvivenza. «In quella situazione ricominciai a pensare che potevo ancora avere un senso». Inutile chiedergli della ex moglie e dei figli: taglia corto, anche perché a loro ha cercato di nascondere quel tratto della sua biografia.
Nei testi che accompagnano la mostra, Lee Jeffries racconta aneddoti e circostanze che hanno accompagnato i suoi scatti. Tra questi c’è l’incontro con Agnes, una giovane donna che vaga per le strade di New York con ai piedi scarpe enormi. La descrive mentre trascina la sua roba, una serie di borse nere che lentamente e faticosamente porta verso la sua tana: «Se provi ad aiutarla — annota il fotografo — verrai sottoposto a uno strillo così forte e spaventoso che sembrerà provenire direttamente dalle viscere della città». Aldo Scaiano legge, sorride dietro gli occhiali, annuisce muovendo rapidamente il capo su e giù: «Gli oggetti ti sembrano importantissimi all’inizio, quando credi che siano il tuo bagaglio, i pezzi della tua vita che ancora ti accompagnano, poi cominciano a rivelarsi un impiccio inutile. Fino a un certo periodo alcuni dormitori accettavano in deposito qualche borsa, poi hanno scoperto che qualcuno ci nascondeva la droga e allora basta. Infatti le persone di strada le riconosco da certi zainetti in cui ogni giorno si caricano tutto quando escono dai centri in cui dormono. Io a un certo punto — prosegue — mi sono disfatto di tutto, tranne che del mio giaccone comprato in Finlandia, mi ci ero affezionato davvero, mi faceva sentire bene. Guardalo, ce l’ho ancora adesso. Ma ci sono alcuni che si attaccano alle loro cose in modo malato, assurdo. Per esempio c’è la Sandrina, una donna che dorme all’Opera cardinal Ferrari, che gira tutti i giorni con i suoi quindici sacchetti». Sorride e si picchietta un dito contro la tempia. «Sì, quindici sacchi, pieni di stracci, giornali vecchi, cianfrusaglie, roba inutile, ma guai a toccarglieli. E siccome lì non li può lasciare, lei ogni mattina li porta fuori uno alla volta e ogni sera li riporta dentro uno alla volta. E quando arriva la bella stagione spesso dorme all’aperto, così ha sempre la sua roba lì vicino». Poi ritorna serio: «Sai, a vivere per strada non è così difficile che arrivi un po’ di follia. Senza contare che ci sono quelli che tirano le giornate bevendo, ovvio che siano un po’ fuori di testa».
Aldo ha già sfogliato più volte le fotografie della mostra, ma mentre parla torna indietro, ne riprende in mano una, poi un’altra e le mette su un altro tavolino del bar di viale Ortles che ha scelto per l’appuntamento, vicino a «Casa Jannacci», la struttura di accoglienza del Comune che un tempo veniva chiamato «dormitorio pubblico» dove lui ha ancora diversi amici. Ora non stacca gli occhi da quei volti, che all’inizio osservava controvoglia e che adesso si direbbe gli siano diventati familiari: «Guarda questa donna — dice picchiettando l’indice rumorosamente su foto e tavolo — ha proprio l’aria della affabulatrice, me la vedo che racconta chissà quali storie appassionanti del suo passato, di quando ha conosciuto un attore famoso, o un politico… Ce ne sono in giro di tipi così, sai? Non si capisce mai fino in fondo se stiano raccontando balle o se sono ricordi veri, ma comunque li si sta ad ascoltare, tanto il tempo c’è». Mentre rimette le fotografie in ordine, prima di congedarsi, Aldo ritorna sullo stupore per tutti quei ritratti «in posa» di persone solitamente riottose di fronte agli obbiettivi. «Anche i volontari riescono faticosamente a convincerne qualcuno se c’è di mezzo una raccolta fondi, altrimenti…». Poi ripete che lui il ricordo della strada vorrebbe lasciarselo alle spalle, e intanto indossa il suo giaccone finlandese.
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