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21 Agosto 2025Israele accelera: colonie in Cisgiordania e nuova offensiva su Gaza cancellano la Palestina
Israele ha compiuto due passi destinati a incidere profondamente sul futuro dei palestinesi. Il primo riguarda la Cisgiordania: il governo ha approvato il piano edilizio nell’area E1, tra Gerusalemme Est e l’insediamento di Ma’ale Adumim, che prevede la costruzione di oltre 3.400 abitazioni per i coloni. L’operazione ha un effetto immediato e irreversibile: taglia in due il territorio palestinese, separando Ramallah da Betlemme e isolando Gerusalemme Est, che era stata indicata come capitale di un possibile Stato di Palestina. Con questo intervento, già definito illegale dal diritto internazionale e condannato da organizzazioni come Peace Now, il progetto di uno Stato palestinese con un territorio continuo viene di fatto sepolto.
Parallelamente, l’esercito israeliano ha dato avvio a una nuova offensiva su Gaza City, chiamata “Carri di Gedeone II”. Decine di migliaia di riservisti sono stati richiamati alle armi per sostenere un’operazione che ha come obiettivo dichiarato la sconfitta definitiva di Hamas e la liberazione degli ostaggi. In realtà, il piano comporta anche lo spostamento forzato di oltre un milione di civili verso il sud della Striscia, in campi già sovraffollati e privi di servizi essenziali. La Croce Rossa e diverse agenzie umanitarie hanno denunciato che una deportazione di queste dimensioni non farebbe che aggravare una crisi umanitaria già estrema, segnata da fame, mancanza di acqua e crollo delle strutture sanitarie.
Due mosse, una militare e l’altra insediativa, che si completano a vicenda: da un lato l’espansione delle colonie in Cisgiordania cancella ogni possibilità di un futuro Stato palestinese indipendente, dall’altro l’offensiva su Gaza spinge la popolazione in una condizione di sopravvivenza disperata. In entrambe le situazioni si rivela la strategia perseguita dall’attuale governo israeliano, dominato dalla sua destra più radicale: rendere impossibile l’esistenza della Palestina come entità autonoma.
Ma questo progetto, oltre a produrre violenza e instabilità, pone un interrogativo cruciale sul futuro dello stesso Israele. Integrare milioni di palestinesi senza concedere loro pieni diritti significherebbe trasformare il paese in un regime di apartheid permanente; spingerli a lasciare le loro terre significherebbe invece aprire uno scenario di espulsioni forzate che difficilmente la comunità internazionale potrebbe accettare. In entrambi i casi, la prospettiva è quella di un conflitto senza fine e di una pace sempre più lontana.