Sami Abu Omar, la moglie e i figli avevano ripreso una «vita normale» a Bani Suheila, all’ingresso orientale di Khan Yunis. «Normale per come può esserlo qui a Gaza sotto attacco» precisa subito. «La mia casa è stata distrutta dagli israeliani come gran parte di quelle di Gaza, ma dopo aver vissuto per mesi tra Rafah e l’area di Mawasi, siamo tornati indietro e accanto alle macerie (della casa) abbiamo montato la tenda. Poi ieri (lunedì) è arrivato l’ordine improvviso (di Israele) di evacuare tutta la zona est di Khan Yunis e di andare verso i Mawasi». In poche ore l’esercito ha prima lanciato dei volantini, poi sono arrivate alla popolazione telefonate fatte da segreterie automatiche e infine gli sms. «È stato il panico – prosegue Abu Omar, un operatore umanitario e vicedirettore del Centro Vik di scambio culturale Gaza-Italia – chi non era scappato subito è stato costretto a farlo nel cuore della notte. Decine e decine di migliaia di persone si sono messe in marcia, con pochi averi. Ai Mawasi non c’è più posto, è un’area affollata oltre ogni immaginazione, da ore cerco un punto dove poter montare la nostra tenda. Ogni volta che cominciano a ricostruire parte della nostra vita sulle macerie delle nostre case, l’occupazione rimanda i carri armati a distruggere ciò che resta»
Il racconto di Sami Abu Omar, che potrebbero fare un po’ tutti i palestinesi di Gaza, è un esempio concreto di ciò che attende la Striscia nei mesi che verranno, forse nei prossimi anni. In seguito a lanci di razzi – come quelli sparati da Khan Yunis e Jihad due giorni fa – o sulla base di informazioni di intelligence, reparti corazzati israeliani entreranno nella Striscia dalle linee di demarcazione a Est o useranno dal Corridoio Netzarim che taglia in due Gaza, per compiere azioni «mirate» in ogni punto del territorio palestinese. Think tank israeliani, scrive il Times of Israel, sono al lavoro per elaborare «soluzioni» per oltre due milioni di abitanti palestinesi. Una vorrebbe gran parte della popolazione di Gaza ammassata in «isole di territorio ripulite da Hamas» dove sarebbe possibile far partire una ricostruzione rapida a patto che il movimento islamico sia tenuto a distanza. A gestirle potrebbe essere l’Autorità nazionale di Abu Mazen di cui il premier israeliano Netanyahu ha escluso per nove mesi il coinvolgimento nel futuro di Gaza e che invece ora, secondo i media locali, guarderebbe con minore ostilità.
Netanyahu ieri è sceso in campo per condannare i nove attuali o ex ufficiali militari israeliani che hanno fatto capire, parlando al New York Times, di essere favorevoli a un cessate il fuoco a Gaza, anche lasciando Hamas al potere, e a una trattativa per riportare a casa gli ostaggi israeliani. «Non so chi siano queste fonti senza nome ma – ha risposto – sono qui per renderlo inequivocabilmente chiaro: non accadrà. Porremo fine alla guerra solo dopo aver raggiunto tutti gli obiettivi, compresa l’eliminazione di Hamas e il rilascio di tutti i nostri ostaggi…Non soccombiamo agli spiriti disfattisti, né al New York Times né ad altri». Tra Netanyahu e i vertici delle Forze armate le differenze emergono ormai tutti i giorni. Più pragmatici e consapevoli dell’impossibilità di «eliminare» Hamas da Gaza, i comandanti militari guardano anche al confine nord con il Libano. La tensione è alta mentre salgono le indiscrezioni su una imminente offensiva israeliana nel paese dei cedri. Gli ospedali nel nord sono in stato di allerta e hanno ricevuto l’ordine di prepararsi a ricevere un gran numero di feriti. Il capo di stato maggiore Herzi Halevi sa che nel nord alle forze armate è richiesto un impegno superiore a quello visto a Gaza in ragione delle capacità belliche del movimento sciita Hezbollah più elevate di quelle di Hamas.
A Gaza però Hamas e altre organizzazioni si dimostrano più forti ed organizzate rispetto alle previsioni israeliane. I combattenti palestinesi non affrontano più in campo aperto i soldati israeliani, piuttosto nascondendosi tra le macerie e negli scheletri dei palazzi ancora in piedi compiono attacchi letali contro le forze nemiche. Hamas inoltre è riuscito nelle ultime settimane a reclutare centinaia di uomini e a sostituire in parte quelli uccisi o feriti. Non sono ben addestrati come quelli delle Brigate Qassam o delle unità Nukhba ma appaiono motivati, dicono fonti palestinesi. Nelle ultime ore altri due soldati sono stati uccisi in combattimento a Gaza e diversi altri sono stati feriti a Shujayeh
Ieri le forze israeliane hanno bombardato diverse aree della Striscia uccidendo 11 persone. Si sono poi avvicinate all’ospedale Europeo di Gaza ordinando la sua evacuazione. «Lavoriamo senza sosta da 269 giorni in questo ospedale per aiutare feriti e ammalati, e l’abbiamo fatto nonostante le perdite di parenti e amici. Ora siamo costretti a fermarci per le minacce israeliane, ma intendiamo tornare subito al lavoro e ci riusciremo», ci diceva ieri il dottor Mustafa Al-Astal, del reparto di anestesia dell’ospedale Europeo. «Il personale dell’ospedale e i pazienti hanno deciso di evacuare, sono rimasti solo tre pazienti», ha spiegato Rik Peeperkorn, rappresentante dell’Oms per i Territori palestinesi occupati, chiedendo che l’ospedale europeo di Gaza sia risparmiato e non distrutto in gran parte come è avvenuto agli ospedali Shifa e Nasser. Più a nord, verso Gaza city, 17 persone sono state uccise da colpi di carri armati israeliani su un mercato di Zeitun.
Come per il rilascio di Mohammed Abu Salmiya – il direttore dell’ospedale Shifa arrestato a novembre da Israele e liberato due giorni fa dallo Shin Bet (servizio segreto interno) -, ha generato polemiche e scambi di accuse la decisione presa dalle Forze armate di ripristinare le forniture israeliane di elettricità a Gaza. Un collegamento limitato che però permetterà l’operatività dell’impianto di desalinizzazione gestito dall’Onu a Khan Younis e che produrrà 20mila metri cubi di acqua al giorno. Non basta ma aumenta la possibilità di dissetare un maggior numero di persone.