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21 Ottobre 2023Palestina e Ucraina, stessa guerra: Biden chiede 100 miliardi
21 Ottobre 2023
di Lorenzo Cremonesi
L’ammiraglio Cavo Dragone, capo di stato maggiore della Difesa, guiderà il Comitato militare Nato
ASHKELON «La mia nomina a futuro responsabile del Comitato militare dell’Alleanza atlantica è un successo per l’Italia, che raccoglie i frutti di ciò che ha seminato con il netto sostegno all’Ucraina sin dai primi giorni dell’invasione», spiega l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, che fra più di un anno terminerà il suo incarico di capo di stato maggiore della Difesa a Roma in vista di assumere il nuovo ruolo ai vertici della Nato a gennaio 2025.
Per la terza volta un italiano a dirigere il Comitato.
«Abbiamo oltre 7.000 soldati impegnati nelle missioni internazionali, gran parte in ambito Nato, non ultima quella storica in sud Libano. Il sistema Paese ha funzionato ed è apprezzato tra gli alleati».
Washington chiede che i membri Nato investano almeno il 2 per cento del loro budget per le spese militari. Concorda?
«Pienamente, anche se è stato necessario del tempo per metabolizzare i grandi mutamenti in atto e la necessità di condividere gli investimenti per la difesa comune. L’Italia è impegnata da molto tempo a raggiungere la soglia del 2 per cento entro il 2028 e la crisi Ucraina ha contribuito a legittimarne le ragioni. Noi europei dobbiamo capire che è ingiusto affidarci sempre all’ombrello americano, anche per questo sostengo la necessità di un esercito europeo con una forza d’intervento rapida di almeno 5.000 uomini sempre pronta. Non in alternativa, ma come integrazione alla Nato».
Come vede la guerra tra Hamas e Israele?
«Siamo tutti rimasti colpiti dalla sciagurata ondata di violenza provocata da Hamas. Il terrorismo più basso e crudele contro donne, anziani e bambini: non si deve mai più ripetere. Ora, pur comprendendo il giusto desiderio di Israele di colpire gli autori delle stragi, la comunità internazionale attende che venga fatto tutto il possibile per evitare danni alla popolazione civile. Il senso di pietà e tristezza vale per i caduti civili sia palestinesi che israeliani. A noi il compito di buttare acqua sul fuoco per cercare di raggiungere un accordo che possa tutelare i civili nella speranza di riaprire alla soluzione politica. Servono grandi leader che credano nella via pacifica di reciproco rispetto».
Come?
«Si pensi al nostro continente nel 1945: dalle rovine della guerra è nata la nuova unità europea, dal conflitto può nascere il dialogo, occorre lavorare per quello».
Cosa è per lei Hamas?
«Un’organizzazione terroristica, come ha appena confermato con le stragi. Non è l’unica responsabile della lunga storia del conflitto israelo-palestinese, ma certo lo è dell’innesco di questo nuovo scontro armato con oltre 2.000 terroristi che si sono macchiati del sangue di innocenti».
Israele farebbe bene a lanciare un’operazione di terra, oppure dovrebbe negoziare con Hamas?
«A suo tempo venne tracciato un percorso che prevedeva la coesistenza tra due Stati. L’Onu continua a ribadire la necessità della partizione della terra: sembra ancora adesso la soluzione più accettabile. Anche se l’eccidio di Hamas rinvia e complica le cose».
Dunque, cosa dovrebbe fare Israele?
«È una situazione difficilissima. Credo che non dovrebbe abboccare alla trappola di agire indiscriminatamente e valuto che non lo farà. La ricerca dei colpevoli è doverosa, giusta, è un diritto di Israele. Però bisogna fare attenzione ai civili, evitando al massimo i danni collaterali. Altrimenti si cade nel tranello di Hamas, che vuole criminalizzare Israele. Per ora comunque stanno colpendo obbiettivi terroristici».
Capiamo il giusto desiderio di Israele di colpire gli autori delle stragi. Ma noi dobbiamo gettare acqua sul fuoco per cercare di trovare un accordo che possa difendere i civili. E il pericolo del coinvolgimento di Iran e Hezbollah?
«Lo temiamo, resta lo scenario peggiore. Però sino ad ora non abbiano visto un massiccio attacco di Hezbollah nel nord di Israele. Il conflitto allargato rischia di accendere Iraq, Siria, Giordania e altri. Ma dobbiamo attendere, il punto di svolta sarà quando Israele entra a Gaza, se ci entra, e come lo fa. Vedremo allora se gli altri fronti esplodono, o restano sotto controllo».
L’Iran?
«Parlando di Hezbollah e Hamas non si può non ricordare che è coinvolto e da Paese sciita sostiene sia i correligionari di Hezbollah che Hamas sunnita. Guai se intervenisse direttamente. Ma credo rimarrà a lavorare nell’ombra».
Ritirare il nostro contingente che partecipa alla missione Unifil nel Libano meridionale?
«Al momento non credo. Noi italiani abbiamo in Libano circa mille uomini che lavorano con un’altra quarantina di contingenti. Qualsiasi decisione di ritiro dovrebbe venire presa di concerto. Unifil ha tre compiti: garantire il cessate il fuoco e adesso non può essere attuato; sostenere l’esercito libanese; aiutare i civili, oggi il punto più importante».
Se le missioni di pace scappano quando scoppia la guerra, a che servono?
«Sarebbe un paradosso, anche perché i nostri hanno piani per accogliere gli sfollati. Unifil non si ritirò al tempo della guerra tra Israele e Hezbollah nel 2006».
Dall’osservatorio europeo e Nato, vede qualche parallelo tra la crisi Ucraina e quella in Medio Oriente?
«Sono entrambe alle porte di casa nostra. Noi ci siamo subito messi al fianco dell’Ucraina aggredita dalla Russia. Possiamo filosofeggiare quanto vogliamo, ma la realtà resta che c’è un invasore e un invaso. Oggi la situazione militare è di stallo e dunque sta arrivando il momento di trovare una soluzione politica».
E un ombrello Nato in cambio del compromesso territoriale con la Russia?
«Non sono in posizione di commentare. Non sta a me dire agli ucraini se devono o meno rinunciare a parte della loro terra. Ma credo sia giunto il momento della diplomazia».
Un altro parallelo è che entrambi i Paesi chiedono di entrare nella Nato.
«Un lungo processo: la Nato professa il principio delle porte aperte, ma poi ogni passo va attentamente vagliato».
Il coinvolgi-mento di Iran e Hezbollah è lo scenario peggiore. Il conflitto allargato rischia di accendere Iraq, Siria, Giordania. La svolta sarà quando Israele entrerà a Gaza
L’Italia deve continuare a dare armi a Zelensky?
«Penso di sì, aiutiamo gli ucraini a difendersi, sino a che avranno bisogno di noi. Ormai viviamo in un mondo nuovo: la nostra difesa armata e quella dei nostri alleati è diventata prioritaria».