Più di cento miliardi di dollari in stanziamenti militari per Israele, Ucraina, alleati “indo-pacifici” e per la blindatura del confine col Messico, questo il pacchetto d’emergenza solennemente annunciato da Joe Biden in un discorso alla nazione nella notte italiana. Nella manovra – integrativa del bilancio militare che con oltre 870 miliardi annui, nella graduatoria planetaria è già maggiore della somma dei successivi 10 paesi – comprende voci sostenute dall’opposizione repubblicana (Israele, confine, contenimento cinese) per “agevolare” i finanziamenti a Kiev, che sono invece sempre più invisi. Il decreto avrà un arduo iter in parlamento, non ultimo perché la Camera continua a rimanere paralizzata per una frattura fra repubblicani.

Joe Biden

Ricordate che i fondi sono impiegati per ricostituire i nostri arsenali con il made in Usa: missili Patriot fatti in Arizona, proiettili fabbricati in 12 dei nostri stati…
A WASHINGTON sono le 20:02 quando si accendono i riflettori nello Studio ovale. Seduto al resolute desk, nello scenario dei momenti drammatici, il presidente saluta i fellow Americans e annuncia che ci si trova ad un inflection point della storia, uno dei qui momenti, dice, in cui le decisioni prese influiranno sul futuro per decenni a venire. Nella sua analisi, Biden alterna i ruoli di saggio e benevolo decano a quello di piazzista di arsenali a domicilio.

Mescola equanimità e compassione «per tutte le vittime» alla «risolutezza» richiesta del leader di quella che definisce la «nazione essenziale». Nel discorso del presidente ricorrono infatti i riferimenti agli Stati uniti come ultima speranza delle democrazie e i paralleli fra terroristi di Hamas e il «tiranno Putin», «accomunati dall’odio per le democrazie vicine» e certi di debordare oltre se non saranno contenuti nel nome del sicurezza dell’America e del mondo. (Il Cremlino non ha gradito le parole del presidente e, attraverso un portavoce ha fatto sapere che «è inaccettabile un tono del genere nei confronti della Federazione russa e del nostro presidente».)

C’È STATO POSTO, è vero, anche per il diritto alla dignità e autodeterminazione dei Palestinesi e per la citazione per nome del piccolo Wadea Al-Fayoume, palestinese americano di sei anni ucciso dopo esser stato accoltellato da un fanatico islamofobo a Chicago. Biden ha anche ripetuto (senza approfondire) l’accenno agli «errori americani post 11 settembre», come lezione cautelativa, ma la richiesta disegna chiaramente una politica che fa fronte alla crisi sempre più infiammata con una generosa infusione di benzina, sotto forma di strumenti di guerra e di morte.

Il pacchetto ucraino raddoppia quasi l’entità degli aiuti militari forniti dall’inizio della guerra e si aggiunge al totale di oltre 75 miliardi di dollari spediti a Kiev negli ultimi 20 mesi. Altri 14,3 miliardi saranno destinati ad «affilare – parole di Biden – il profilo qualitativo» della macchina militare israeliana. Saranno principalmente munizioni missilistiche che si aggiungono ai 3,8 miliardi già annualmente stanziati a favore dell’alleato politico-militare in Medio Oriente.

SUI TELE PROMPTER di Biden è scorso insomma il copione di una trama semplificata, la storia di una potenza buona, baluardo di libertà ed arsenale di democrazia («proprio come nella seconda guerra mondiale», ha azzardato). L’America declina la lingua dell’egemonia militare. Più che la dottrina reaganiana del “peace through strength” è l’ossimoro della pace attraverso la guerra, che rivela parametri di un bipolarismo fuori tempo sullo sfondo di un multipolarismo scosso da conflitti asimmetrici, per i quali i vecchi modelli sembrano fatalmente insufficienti. Tanta attenzione nella risoluzione militare, insomma, e il sostegno tattico agli alleati, e poca alle ingiustizie e diseguaglianze strutturali che sottendono le conflagrazioni, delle quali l’Occidente – e la sua superpotenza leader – ha ineludibili e rimosse responsabilità.

Biden ha comunque tenuto a professarsi fiducioso nella «infinita possibilità dell’America» e anche in vantaggi più immediati. «Ricordate che quando mandiamo in Ucraina equipaggiamento dei nostri magazzini, i fondi vengono impiegati per ricostituire in nostri arsenali con armi Made in Usa : missili Patriot fabbricati in Arizona, proiettili d’artiglieria fabbricati in 12 dei nostri stati…».

PAROLE FRA LE QUALI, al di là di tutti i proclami, c’è una antica verità sulla macchina bellica come motore economico della «nazione essenziale».