Il testo del Memorandum concluso da Giorgia Meloni con Edi Rama va ben oltre la nota comunicata lunedì da palazzo Chigi e contiene quasi a ogni paragrafo previsioni che contrastano con il diritto nazionale e con il diritto dell’Unione europea.

La lettura dell’articolato rafforza i dubbi sulla legittimità dell’intesa che appare priva di basi legali, in violazione della riserva di legge, e conferma il carattere elettoralistico della «collaborazione rafforzata» con un paese terzo, che il primo ministro italiano vorrebbe sfruttare nella campagna per le elezioni europee, con un evidente scambio sull’impegno a favorire l’ingresso dell’Albania nell’Unione europea.

La violazione degli articoli 3,10 e 117 della Costituzione italiana è aperta. Si supera persino il profilo della esternalizzazione dei controlli di frontiera, già recepito nel Piano europeo sull’immigrazione e l’asilo, ancora da approvare in sede legislativa, per ispirarsi piuttosto alla logica della deterritorializzazione delle persone sul modello Guantanamo.

Per chi sarà deportato in Albania con un respingimento collettivo, perché di deportazione si tratta, si prevede una condizione giuridica «speciale». Non sarebbe soggetto al diritto albanese, se non forse nel transito dai porti al centro di detenzione, o in caso di fuga dai centri, ma neppure potrebbe avvalersi di tutte le tutele, a partire dalle garanzie costituzionali, stabilite per chi si trova sotto giurisdizione italiana nel nostro territorio.

Come ha annunciato Giorgia Meloni «dei due centri, quello al porto si occuperà delle procedure di sbarco e di identificazione con una prima attività di screening mentre il centro che verrà realizzato nell’area più interna sarà una struttura modello Cpr». Secondo la sentenza numero 105 del 2001 della nostra Corte Costituzionale, però, qualunque procedura di allontanamento forzato attuata da autorità italiane attraverso il trattenimento in un centro di detenzione deve essere convalidata dalla decisione di un giudice (riserva di giurisdizione).

Come sarà possibile realizzare queste garanzie in territorio albanese? Si farà ricorso a videoconferenze per procedure accelerate in frontiera e per la convalida delle misure di trattenimento? Con quale rispetto dei diritti di informazione e di difesa, comunque garantiti – in base all’articolo 24 ancora della Costituzione e all’articolo 6 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo – a qualunque persona si trovi sotto la «giurisdizione italiana»? Come si pensa di applicare la normativa europea su asilo e rimpatri al di fuori di uno Stato membro? O forse si conta sulla complicità dell’Unhacr, che in un recente comunicato del suo ufficio tedesco sembra condividere il Memorandum Italia-Abania, per la demolizione definitiva del diritto di chiedere asilo in Europa?

Secondo Edi Rama, poi, «chi non ha diritto viene rimpatriato. Ma se l’Italia non riesce a fare i rimpatri dovrà riprenderseli». L’Italia nel 2023 è riuscita a rimpatriare meno di cinquemila persone destinatarie di un procedimento di espulsione o di respingimento, la capienza dei Cpr italiani, malgrado gli annunci roboanti che ne prevedevano il raddoppio, è aumentata soltanto di qualche centinaio di posti.

Come si pensa di realizzare in Albania quello che non si è stati capaci di fare in Italia, con la prospettiva di dovere fare entrare nel nostro territorio i richiedenti asilo denegati in Albania che non si riuscisse a rimpatriare? Delle due l’una: o si produrrà una massa di immigrati irregolari a tutto vantaggio delle mafie nei Balcani, oppure l’Italia dovrà assumere l’onere, anche economico, e con grande impegno di forze di polizia, di riportare in territorio italiano coloro che non hanno ottenuto il riconoscimento di uno status di protezione, ma che non si è riusciti a rimpatriare nel paese di origine. La propaganda batte lo Stato di diritto.