Se qualcuno si chiedesse oggi: «che cosa vuol dire essere comunisti?» nella vita e nel cinema della coppia di cineasti formata da Jean-Marie Straub e Danièle Huillet non troverebbe una risposta univoca ma per certo un esempio. D.H. è scomparsa il 9 ottobre del 2006. Jean-Marie Straub se ne andato nella notte tra il 19 e il 20 novembre 2022 all’età di 89 anni, seguendo di poco Jean-Luc Godard con il quale condivideva una posizione speciale nella generazione di cineasti europei apparsi tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio dei sessanta. Questa posizione artistica è indistinguibile dalla storia della persona di J-M.S., a cominciare dal suo luogo di nascita. J-M.S. è nato a Metz nel 1933, nella contesa regione della Lorena. Come è noto, la città, francese dal XVI secolo, è accorpata all’impero tedesco nel 1871, e rimane tale fino al 1918 quando ritorna alla Francia, per in seguito essere riaccorpata (1941) e nuovamente liberata (1945).

Un cineasta non deve mai illustrare le descrizioni di un romanzo. Welles l’ha fatto nel suo film sul «Processo» di Kafka, che non è tra i suoi film migliori J-M.S.

LA COPPIA J-M.-S. e D.H. affrontano questa tribolata storia nel cortometraggio Lothringren! del 1994 adattando stralci del romanzo Colette Baudoche di Marice Barrès. Uno dei primi film girati da J-M.S. dopo la morte di D.H. (Un héritier, 2010) è un nuovo adattamento dello stesso romanzo. La genesi di molti dei temi ricorrenti del cinema di J-M.S. si può trovare nell’esperienza di questa città a cui via via è stata imposta una lingua, poi un’altra, una deportazione, poi un’altra. È a Metz che J-M.S. diventa cinefilo, nel ciné-club «La chambre noire», scopre il cinema contemporaneo e i film vietati durante l’occupazione.

Studente meritevole, viene ammesso al prestigioso Istitut des Hautes Etudes Cinématographiques. Ma è presto espulso. Del suo rapporto con l’educazione, resta En rachachant, un piccolo gioiello del 1982 tratto da un testo (Ah ! Ernesto) di Maguerite Duras. Arrivando a Parigi, lascia dietro di sé i conflitti franco-tedeschi per trovare l’attualità della decoloniazzazione. Quando è chiamato alle armi, nel 1958, rifiuta andare a uccidere gli algerini e si rifugia in Germania. A Parigi, ha avuto il tempo di legare con il gruppo dei Cahiers du cinéma. È accreditato come assistente alla regia di uno dei primi film della Nouvelle Vague, il corto di Jacques Rivette Le Coup du Berger (1956); nel 2006, ricordando quel film durante un’incontro con il pubblico della (ora chiusa) sala Trevi, dirà con ironia: «Facchino ! Ero solo il facchino!».

NONOSTANTE J-M.S. e D.H. siano lontani nel momento in cui la Nouvelle Vague trionfa sul vecchio cinema francese, il legame con il gruppo dei Cahiers du cinéma non si sfalda. Nel 1962 è lo stesso Jacques Rivette a scrivere la recensione del primo corto Machorka-Muff «liberamente ispirato da Hernich Böll e messo in scena da un giovane francese esiliato oltre-Reno». È invece Jean-Claude Biette a scrivere del primo lungometraggio, già dal titolo quasi un manifesto estetico, morale, politico: Non riconciliati (Nich Versohnt) : «opera essenzialemente storica, NV si presenta sotto forma di conversazioni tra parenti e amici, che camminano o si siedono, in semplice quotidianità. Questa vita – ricordi, eventi, riflessioni – non è differente da quella delle guerre. Ecco perché, nel suo parlare privo di manicheismo e di illusione, NV è stato detestato dalla critica ufficiale in Germania». Durante gli anni, scrivere su «gli Straub», come presto vengono chiamati, vuol dire fare il punto su un certo stato del mondo, del cinema e della critica. Con Straub si confrontano perciò tutti i veri critici degli anni 1970-80, tra gli altri Jean Narboni (splendido e esemplare il suo studio di Othon, «La vicariance du pouvoir», Cdc 224), Serge Daney, Pascal Bonitzer.

DAL PUNTO di vista del metodo, il cinema di Straub raggiunge subito un certo ideale pratico e alcuni punti fermi. Il primo è l’adattamento dalla letteratura del XX secolo come Schoenberg, Kafka, Pavese, Vittorini. Con alcune eccezioni : Corneille, Hölderlin. Il secondo è quello dell’influenza di Bertold Brecht, per la funzione dell’arte in genere e per la pratica della messa in scena. Infine, il cinema di J-M.S. & D.H. si configura immediatamente come non conciliabile con l’industria cinematografica. Un punto che li distinguerà sempre dalla Nouvelle Vague, con l’eccezione di Godard, il quale però sperimenta negli anni tutte le forme produttive. Un punto in più, infine, forse il più importante: la coppia come unità di produzione. Fin dal primo film, gli Straub lavorano insieme a tutte le fasi della lavorazione dalla scrittura al montaggio. L’architettura di questo duo sono l’oggetto di un bellissimo episodio della serie Cinéma de notre temps. Il film si chiama Où gît votre sourire enfui? (2001), girato da Pedro Costa e prodotto da Thierry Lounas in parte a Roma e in parte all’istituto Fresnoy dove gli Straub montano una versione di Sicilia! (1998) il loro film «più commerciale» (a detta di J-M.S.). Reagendo alla scomparsa, Thierry Lounas ha scritto: «il mio arrivo a Parigi e ai Cahiers du cinéma coincide con la scoperta di Amerika, rapports de classe di J-M.S. & D.H. Quando, più tardi, ho proposto di fare un “Cinéaste de notre temps” su di loro è stato tanto per ammirazione per il loro lavoro che per amicizia per loro e per Jean-Marie in particolare la cui finezza intellettuale e l’ironia mi hanno sempre dato gioia. La famosa pedagogia straubiana esiste e il piccolo cinefilo, provinciale e popolare che ero gli deve molto». Molti potrebbero sottoscrivere queste parole. L’eredità lasciata dagli Straub alla cinefilia mondiale è un bene incommensurabile – segnatamente perché non quantificabile con gli incassi. Eppure, durante gli anni settanta, i Cahiers du cinema si trovano in grande solitudine a difenderli. Come ci ha ricordato Jean Narboni, contattato per telefono: «quando io e Serge presentavamo i loro film, il pubblico ci rispondeva che erano grotteschi o ridicoli o amatoriali.

SE DURANTE una scena in costume si avvertiva il rumore del traffico romano o se per recitare un testo francese essi scritturavano un attore italiano, il pubblico prendeva tutto ciò per un errore o per dilettantismo». Si trattava al contrario di rigore. Si trattava di non riconciliarsi con un’idea di cinema dove la fiction non esclude da sé il mondo e la propria produzione. Il messaggio fondamentale del loro cinema è che tutti possono fare film, a condizione di darsi un certo rigore. Ma che restare fedeli a questa possibilità vuol dire accettare di rimanere fuori di quello che per abitudine chiamiamo cinema. La lezione vale anche in altri ambiti.