
LA SOLITUDINE DEI VASI DI COCCIO
21 Novembre 2025
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21 Novembre 2025Quirinale L’immagine del capo dello stato non subisce graffi, il danno è nel rapporto con il governo
Nel paesaggio dopo la battaglia che ha infuriato per 48 ore intorno al Quirinale non ci sono vincitori: solo vinti. Il capo dello Stato ne esce con un’immagine non scalfita da alcun punto di vista ma la cartolina del Colle, invece, da qualche graffio è macchiata.
Una “chiacchierata tra amici” non si nega a nessuno. Però che uno dei principali collaboratori del presidente concioni su pubblica Terrazza illustrando ai festosi commensali l’urgenza di liberarsi della leader dell’opposizione per poter poi riservare lo stesso trattamento a quella della maggioranza e del governo proprio commendevole non è. Ma questo è il meno. Il danno è sul piano di rapporti con il governo che il presidente ha sempre cercato di mettere al sicuro da tensioni istituzionali, in nome dell’interesse del Paese. Se li ritrova adesso oscurati dalla nube tossica di una reciproca sospettosità che non svanirà facilmente. Completa il menù lo stato delle relazioni con il primo partito dell’opposizione: già erano ai minimi storici, non miglioreranno dopo i graziosi giudizi notificati al colto e all’inclita dal consigliere. Del resto è vero che il Pd ha difeso Mattarella e lo ha fatto senza esitazioni. Ma non con la stessa foga impiegata, ad esempio, per difendere Sigfrido Ranucci nel caso del garante della privacy.
LA PREMIER E IL SUO partito escono dalla prova del fuoco peggio. Hanno attaccato alla sgangherata per poi ripiegare frettolosamente, tentando di fingersi agguerriti anche in piena ritirata. La capa si è recata dal presidente per porgere rassicurazioni sconfinanti nell’atto di sottomissione salvo poi ripensarci, ripassare dal pigolio al ruggito, finire di nuovo nei guai, ordinare ai suoi tramortiti ufficiali la resa senza condizioni.
Meloni è apparsa nervosa, ossessionata dalla paura di improbabili complotti, indecisa, confusa, allo sbando. E non sarebbe niente, salvo la figuraccia, se non fosse che per la premier i rapporti di fiducia con il Quirinale erano inestimabili. Alla resa dei conti e pur con qualche palese critica il presidente la aveva sin qui sempre coperta. Ora si sprecano le assicurazioni che nulla è cambiato né cambierà. Ma rimettere insieme i cocci di un vaso rotto è impresa ardua. Per regalare l’ultimo tocco di nero al quadro di una disfatta, il partito della premier si è ritrovato solo. La Lega si è eclissata. Forza Italia si è schierata con il Colle.
IL PD POTREBBE festeggiare ma per la segretaria scoprire che l’assedio da cui è cinta conta appoggi rilevanti anche nei giardini del Quirinale non è stata una bella sorpresa. Non deve averla consolata neppure appurare che un’intera e potente area ex democristiana scartabella piani di battaglia sperando di scoprire quale provvidenziale scossone potrebbe disarcionarla in tempo utile. Non che la segretaria sia tentata da passi indietro di sorta ma ha di fronte prove difficili e affrontarle sapendo che in molti affilano le armi non è certo rassicurante.
ESCE SCONFITTA, anzi messa peggio di tutti, anche la trasparenza, requisito di un certo peso ai fini della fiducia popolare nel sistema. I sentieri obliqui che hanno portato il resoconto di quelle conversazioni nelle mail di alcune redazioni restano misteriosi. L’intera manovra appare troppo strutturata per dar credito all’ipotesi di un vicino di tavolata curioso e lesto nell’origliare. Il non detto di tutta la vicenda, il materiale esplosivo che ha trasformato in guaio di prima grandezza un episodio increscioso ma in sé trascurabile, è la tensione che si è accumulata e si continua ad accumulare tra i Palazzi della Repubblica intorno alla guerra russo-ucraina e al riarmo. È quella la crepa che per la prima volta ha separato il Pd, già partito del Colle, dal Colle medesimo e non ha smesso di allargarsi. È quella la regia che al Quirinale sospettano abbia messo in moto l’incidente e che giustifica, ben più dell’offesa personale, l’ira di Mattarella. FdI, partito già reso sospetto dall’ambiguità della premier che oscilla tra Bruxelles e Washington, ha giocato di sponda con una manovra interpretata e forse non a torto come “putiniana”. È questo l’elemento davvero imperdonato.





