di FILIPPO SANTELLI
L’escalation commerciale tra Stati Uniti e Cina continua a salire di colpi. Mercoledì, mentre concedeva una tregua al resto del mondo, Trump ha alzato ancora il muro tariffario contro il rivale asiatico. E ieri Pechino ha risposto ancora una volta dazio per dazio, con una tassa del 41% sulle importazioni dall’America. Per i soli parziali siamo 145 a 125, ma a questi livelli i numeri non contano più: si profila un divorzio economico tra le due superpotenze globali, dolorosissimo per loro e per il resto del mondo.
Questa volta però, oltre alle solite accuse di bullismo, Pechino ha anche detto basta: non seguirà oltre «la barzelletta» di Trump e d’ora in avanti «ignorerà i suoi giochetti di numeri». E in questa decisione di spezzare il circolo quotidiano di ritorsioni e controritorsioni, come in quella di non replicare con altre armi non tariffarie che ha nel proprio arsenale, qualcuno vede un tentativo della Cina di non far deragliare la contesa e provare così a iniziare una fase di raffreddamento.
Si capirà nelle prossime ore se è idea condivisa da Trump, e nelle prossime settimane se porterà a un negoziato. Nell’attesa però la Cina teme di restare isolata e ha iniziato una campagna diplomatica per cercare sponde nella sua resistenza, presentandosi come il difensore dell’ordine globale picconato da Trump. E nella lista, oltre ai vicini asiatici, c’è anche l’Europa “tradita” dal suo storico alleato: «La Cina e l’Unione europea devono salvaguardare insieme la globalizzazione e resistere insieme alle intimidazioni», ha detto ieri Xi Jinping durante un incontro a Pechino con Pedro Sánchez, all’ultima e più importante tappa di un tour asiatico. Il premier spagnolo ha a sua volta parlato della Cina come di «un partner fondamentale per affrontare le sfide globali».
È un nuovo segnale di disgelo neirapporti tra Unione e Cina dopo anni di crescente freddezza, anche per il sostegno di Pechino allo sforzo bellico di Putin. Si aggiunge alla recente conversazione telefonica tra il premier cinese Li Qiang e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. E soprattutto all’indiscrezione su un summit bilaterale a fine luglio tra i leader europei, von der Leyen e il presidente del Consiglio Ue Antonio Costa, e il presidentissimo Xi. L’ultima volta questo format di incontro si è svolto nel 2023 in Cina, mentre l’anno scorso è saltato. Il protocollo vorrebbe che la prossima riunione si tenga in Europa, ma Bruxelles avrebbe accettato di spostarla a Oriente per assicurarsidi interloquire direttamente con il leader cinese.
Questo riavvicinamento è strategia o solo una tattica per spaventare Trump? Difficile rispondere, sia per la Cina che per l’Europa. Per prima cosa perché tra i governi Ue ci sono idee assai diverse rispetto all’equilibrio da tenere con le due superpotenze. Per un Sanchez che vola a Oriente e spinge per un deciso distanziamento dagli Stati Uniti, c’è una Meloni con un biglietto in direzione Trump. Il secondo problema è che l’Europa tutta condivide molte delle accuse americane contro la Cina: dall’assenza di reciprocità nell’accesso al mercato, all’eccesso di capacità produttiva sussidiata che Pechino riversa all’estero come export a basso costo.
Secondo Reuters Bruxelles avrebbe accettato di aprire una trattativa con Pechino per trasformare i dazi imposti alle sue auto elettriche in un meno pesante “prezzo minimo”. Nel frattempo però teme che le merci della Repubblica popolare ora respinte alla dogana Usa finiscano per inondare il mercato europeo, ed è pronta a difendersi. Dalla sua la Cina ha assicurato che questo non avverrà, perché verrà stimolata la domanda interna. Pechino è anche pronta a incoraggiare i suoi campioni delle tecnologie green a investire in Europa. Ma in pochi credono che voglia o possa davvero ribilanciare un modello economico tutto produzione ed export. Se è vero che, a differenza degli Stati Uniti, l’Europa non vuole un “divorzio” economico dalla Cina, punta però a ridurre la dipendenza e i relativi rischi, quello che Von der Leyen chiama “derisking”. Mentre la disponibilità cinese a contribuire a una pace in Ucraina resta tutta da decifrare.
Se insomma riallacciare i rapporti in questo momento conviene a entrambi, non è per niente chiaro dove possa portare. E l’impressione è che, in questo triangolo in movimento, le distanze tra i vertici dipenderanno molto dall’atteggiamento di Trump: distinguerà tra alleati e rivali o tratterà entrambi con lo stesso unilateralismo? Spingerà l’Europa a contenere la Cina o farà un grande accordo con gli amici Putin e Xi? Intanto a Washington la foto di Sanchez con il leader cinese non è stata apprezzata: «Come tagliarsi la gola da soli», ha detto il segretario al TesoroBessent.