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24 Aprile 2024di Lelio Lagorio
«La libertà esiste solo per chi la conquista/tutti i giorni tutti i giorni»: termina così «Toscana Libera», il testo teatrale di Renzo Ricchi andato in scena il 27 aprile del 1975 al Metastasio di Prato e ora riproposto dalla Compagnia delle Seggiole al Cinema La Compagnia. Ricchi ripercorre la lotta antifascista dando voce a contadini, sindacalisti, cittadini, uomini, donne e ragazzi. Il testo è stato ripubblicato nelle edizioni dell’Assemblea del Consiglio Regionale con l’introduzione dell’allora presidente della Giunta Lelio Lagorio che qui proponiamo .
I n T oscana il fascismo ebbe — com’è noto — manifestazioni estremamente violente e trovò alcuni dei suoi capi più sanguinari (basti ricordare, per tutti, quel Dumini che si macchiò dell’assassinio di Giacomo Matteotti). E tuttavia questa regione che fu mai fascistizzata, nel senso che, sia a livello dei ceti intellettuali e borghesi più avanzati, sia a livello popolare, per tutto il ventennio ci fu, strisciante e segreta per certi versi, per altri palese e decisa, una continua opposizione al regime. Un’opposizione profonda che dopo i grandi moti operai del marzo ’43 esplose in tutta la sua entità il 25 luglio quando, appreso della caduta di Mussolini, le popolazioni delle città e dei paesi scesero in piazza in massa chiedendo pace, libertà per i prigionieri politici, migliori condizioni di lavoro nelle fabbriche e lo smantellamento del regime. Un’opposizione, occorre aggiungere, che rivelò la sua estensione anche nella celerità con la quale, fra il 25 luglio e l’8 settembre di quello stesso anno, le forze politiche, disperse dalle persecuzioni reazionarie, si riorganizzarono, si unirono ed iniziarono la lotta per la liberazione del Paese contro l’invasone nazista.
L’animo popolare della Toscana, dunque, rimase sempre sostanzialmente antifascista. E questa è appunto la chiave in cui Renzo Ricchi ha scritto questo dramma al quale — giustamente — è stato dato il titolo di Toscana libera , che sta a simboleggiare come non basti imporre una dittatura per far perdere a un popolo la sua aspirazione e la sua fede nella libertà. Un lavoro, naturalmente, che non vuole riscrivere la storia della Resistenza, ma solo portare in scena aspetti di quella lunga battaglia che debbono restare precisi e costanti punti di riferimento per chi ha a cuore la costruzione di uno Stato sempre più solido nelle sue istituzioni democratiche; un lavoro che ci aiuta a ricordare, e a ricordare con quel senso vivo della realtà che ci viene dal teatro.
Il nostro Paese — è vero — ha pagato un tributo troppo grande per le guerre del nazifascismo e nella lotta contro il nazifascismo, perché qualcuno possa avere dimenticato. Non l’hanno dimenticato i reduci, non l’hanno dimenticato i partigiani, non i perseguitati, non le famiglie dei caduti e delle vittime. Pure, è bene che tutti si abbia ogni tanto l’umiltà di riandare col pensiero a quella terribile esperienza della storia italiana. E nella misura in cui questo ricordo, questo passato, sarà ben vivo in noi, sentiremo più forte l’impegno e il dovere di difendere senza debolezze la Repubblica, in ogni sua parte, in ogni suo angolo, nelle città e nei borghi, nelle metropoli e nelle province, contro chiunque cerchi di rievocare i fantasmi del passato, gli infami miti della violenza e della sopraffazione: di difendere questa Repubblica — nata contro il fascismo, costruita sui grandi valori della pace, della giustizia e della libertà — applicando le sue stesse leggi e la Costituzione, tenendo ben presente che questa è la nostra Repubblica, e non rinunceremo mai a lavorare per farla migliore nella cornice della Carta costituzionale, nel rispetto delle leggi democratiche.
Persecuzioni, rastrellamenti, fucilazioni, paura, vite perdute, migliaia di fratelli ebrei sacrificati dalla follia di un’idea politica crudele, i beni distrutti, l’orribile presenza delle truppe tedesche, l’esodo delle popolazioni, la disgregazione dell’apparato amministrativo: questo furono gli ultimi lunghi atti della tragedia fascista, la sua guerra, l’occupazione delle milizie hitleriane. Ma dall’altra parte della barricata ci fu l’utilità sostanziale del popolo, che con un senso profondo della vita, reso più intenso nell’ora del pericolo, non si piegò alla bufera e, al prezzo di inenarrabili sacrifici, preservò l’avvenire della nazione. Fu questa unità che ci permise di rialzare la testa, di far risorgere la società civile.
In Toscana libera queste sofferenze, ma anche questi valori, si ritrovano. Tra l’altro Ricchi ci mostra con quali metodi il fascismo andò al potere: aggredendo i Comuni in cui sedevano amministrazioni democraticamente elette, incendiando e saccheggiando le sedi dei sindacati, delle case del popolo, delle cooperative; uccidendo e picchiando, nelle città come nelle campagne.
Ma anche come la vocazione antifascista rimase ampia e intatta (in una scena molto significativa, il lavoro fa vedere, per esempio, come l’antifascismo si tramandò e ramificò nel mondo rurale, che poi fu il retroterra indispensabile per la lotta partigiana). A noi cosa resta da aggiungere? Che parlare e scrivere ancora e sempre di quegli anni non è mai superfluo ed è sempre utile e importante affinché il seme dell’antifascismo getti radici sempre più profonde; che il popolo toscano, come il popolo italiano, vuol vivere in libertà e in pace.
Ma non ci sono né pace né libertà sicure se il Paese non va avanti, non si trasforma; se non sostituiamo ai vecchi rapporti di forza tra le componenti economiche e sociali della nazione un nuovo rapporto, dove sempre più protagoniste della storia italiana, giorno dopo giorno, divengano le classi che sono tenute lontane dal potere.
Né va dimenticata la lezione di forza che ci venne dalle unità della Resistenza, ai cui valori dobbiamo restare fedeli, garantendo il nuovo Stato che abbiamo costruito e andiamo costruendo contro l’autoritarismo, la burocratizzazione e il centralismo su cui il fascismo fondò le sue fortune. Toscana libera — in quest’ambito — ci offre non soltanto l’occasione di un momento di riflessione su uno spaccato di storia appena di ieri, ma rappresenta anche un monito valido per noi tutti. Come dice un personaggio nella scena che chiude l’opera: la libertà esiste solo per chi la conquista tutti i giorni.
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