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Sul drappellone, la croce si staglia netta, tracciando un confine e insieme un ponte tra i colori delle Contrade. È un segno che unisce e orienta: come una bussola, non si limita a indicare un punto, ma apre la possibilità di direzioni diverse. Nel giorno del Palio, la croce è radice e approdo, richiamo alla memoria condivisa e promessa di un traguardo da raggiungere.
In alcune raffigurazioni, questa croce si prolunga, scende verso il basso e si piega in due curve che cercano un fondale. Così si trasforma in àncora, simbolo che appartiene al linguaggio del mare. Il passaggio non è casuale: la corsa e il viaggio condividono la stessa tensione verso l’ignoto, la stessa necessità di orientamento e di stabilità. Nel Palio, la croce cattura lo sguardo nel cuore della piazza; in mare, l’àncora trattiene la nave, impedendole di essere trascinata dalle correnti.
Mutano i contesti — il tufo dorato di Piazza del Campo, le acque profonde di un porto — ma il significato resta invariato: resistere alle tempeste, trovare un punto fermo quando tutto attorno si muove. La Lettera agli Ebrei parla della speranza come di un’«àncora dell’anima, sicura e ferma» (Eb 6,19): un sostegno che trattiene senza imprigionare, che permette di restare saldi senza rinunciare alla possibilità di ripartire.
L’àncora, unita alla croce, è un simbolo che attraversa secoli e luoghi. È apparsa nei primi sepolcri cristiani delle catacombe, quando i fedeli la usavano per alludere alla salvezza senza esporsi apertamente alla persecuzione. L’hanno portata marinai e missionari, scolpita nella pietra delle chiese o incisa sugli scafi. Appesa al collo o cucita sulle vele, ha accompagnato uomini e donne che si sono trovati davanti a orizzonti incerti.
C’è un episodio evangelico che ne condensa il senso: Pietro, camminando sulle acque verso Gesù, vacilla alla vista del vento e delle onde. Sta per affondare, ma tende la mano e viene afferrato (Mt 14,30-31). È l’immagine di una forza che non nasce solo dal resistere, ma dall’affidarsi a un Altro.
Ecco perché la croce che campeggia sul drappellone e quella che si fa àncora sembrano parlare la stessa lingua. La prima appartiene alla corsa, la seconda al mare; entrambe alla speranza. Una speranza che non è fuga dall’incertezza, ma energia silenziosa che sostiene il passo, guida la rotta e permette di ritrovare il cammino dopo ogni tempesta.