ANSELMO KIEFER
23 Giugno 2022Luccioli, ruvido e brusco con Matta e con il bucchero
23 Giugno 2022Due saggi di Aldo Schiavone e Biagio de Giovanni indagano il declino, le profonde trasformazioni e il futuro di un mondo e di un’identità che stanno cambiando velocemente
Occidente si dice in molti modi, per lo più contrapposti. È una parte del mondo o la matrice di valori universali? Lo spazio in espansione della democrazia o quello del suo declino? La terra del tramonto o l’alba di un nuovo inizio?
Intorno a tali domande nasce la nuova collana editoriale de il Mulino diretta da Aldo Schiavone con l’evocativo nome Faustiana .
Di essa sono usciti i due primi saggi, il primo dello stesso Schiavone, L’Occidente e la nascita di una civiltà planetaria .
Dotato di una singolare forza visionaria, oltre che di una godibilissima scrittura, il libro rovescia i canoni classici della storiografia. Anziché partire dal passato per inoltrarsi nel futuro, cerca nel futuro le chiavi per un’originale interpretazione del passato. Del resto ogni grande libro di storia, descrivendo a suo modo ciò che è stato, presuppone un’immagine dell’avvenire.
Ma secondo Schiavone questa capacità prognostica si va ormai esaurendo. Proprio nel momento in cui si annunciano grandi trasformazioni, il nostro sguardo perde di ampiezza e profondità. Non sappiamo sintonizzarci alla svolta che viviamo. All’impetuoso sviluppo delle scienze dure – biologia, informatica, tecnologia – fa riscontro un appannamento di quelle umane. Arroccati nella nostalgia di un passato ormai esaurito, perdiamo la direzione complessiva del processo in corso, il suo senso d’insieme.
Ciò che non vediamo è il salto di civiltà che abbiamo di fronte. Si tratta della possibile unificazione della specie umana, consentita dal prodigioso sviluppo della tecnica, oggi arrivato al culmine in corrispondenza con il nuovo assetto del capitalismo finanziario. Questa è la risorsa più vitale dell’Occidente – tecnica e capitalismo, capitalismo convertito esso stesso in potenza tecnica.
Naturalmente nel perimetro dell’Occidente c’è molto di più. C’è la filosofia, la politica, il diritto. I valori della libertà e dell’uguaglianza. La democrazia. Ma chiusi in un’orbita che non riesce a integrarsi con quelle della tecnica e dell’economia, che non procede alla stessa velocità, rischiando continuamente di restare indietro, se non di bloccarne la forza emancipativa. La guerra in corso è intesa dall’autore come l’ultima riprova di questa arretratezza – della divergenza patologica tra geopolitica contemporanea e regime tecno-capitalistico. Un’intera parte del mondo – tutto il blocco orientale, islamico, russo, cinese – resiste al cambiamento.
Nonostante la sua forza militare o economica, non ha una visione strategica comparabile a quella costruita in Occidente prima dall’Europa e poi, sempre più, dall’America. Naturalmente, precisa Schiavone, non si tratta di rivendicare primati. E tanto meno di fissare gerarchie antropologiche, ma di percorsi storici disuguali. Solo l’Occidente ha prodotto l’autonomia della scienza e la rivoluzione industriale culminate nel salto informatico e biotecnologico in corso.
Ovviamente l’autore non ignora i rischi, le resistenze, i ripiegamenti che frenano questo processo. Ma li considera residui destinati, nel tempo, a essere oltrepassati da un processo di civilizzazione che inciderà sulla stessa natura della specie umana.
Che dire di questa prefigurazione potente e suggestiva? Intanto colpisce, in contrasto con la sua ispirazione scientista, l’oggettiva ripresa della filosofia della storia hegeliana. Anche Hegel vedeva nell’Occidente – non ancora l’America, ma l’Europa – l’unico soggetto di storia universale, di fronte al mutismo degli altri continenti.
Ma una critica implicita alle tesi di Schiavone è contenuta nell’altro libro della collana, Figure di apocalisse. La potenza del negativo nella storia d’Europa, di Biagio de Giovanni. Anch’esso parte da Hegel. Ma non da quello, euforico, dalla filosofia della storia. Piuttosto da quello, drammatico, del conflitto. Per de Giovanni il negativo non è ai margini, ma al cuore dell’Occidente. È il suo stesso motore. Per vivere, tutt’altro che neutralizzarlo o confinarlo nel passato, l’uomo europeo deve «guardare in faccia il negativo e soffermarsi presso di esso». Pur col rischio che il negativo sfondi i limiti che lo contengono, deflagrando, come è accaduto più volte nella nostra storia. Altrimenti come si spiega la compresenza in essa di libertà e violenza, democrazia e totalitarismo, diritti umani e Auschwitz?
È difficile dare conto della magistrale ricostruzione storico-filosofica dell’Occidente compiuta da de Giovanni. L’Occidente è un Giano bifronte, costituto dal rapporto problematico tra uno e molteplice, identità e differenza, ragione e forza. Senza la filosofia e la tragedia – Eschilo e Sofocle, Dante e Shakespeare, Caravaggio e Goethe, Dostoevkij e Mann – l’Occidente non sarebbe tale. Ma esso non vive senza il rapporto con l’altro, con quell’Oriente da cui si è staccato, ma non separato. Anche perché la divisione e il contrasto lo attraversano da parte a parte, costituendone insieme la potenza e il limite, la contraddizione e la mediazione.
Quando il limite è stato superato e la vita si è sottratta alla forma, quando la potenza del negativo si è fatta volontà di potenza, allora l’Occidente si è scontrato con se stesso fino a rischiare di esplodere. A salvarlo difficilmente saranno tecnica ed economia, se non rientreranno in gioco la politica e la filosofia che in essa si è a lungo incarnata.