il retroscena
alberto simoni
Con i tamburi di guerra sempre più rumorosi e le voci di un attacco che anche alcuni osservatori a Washington indicano pronto per scattare oggi, la Casa Bianca prova ad abbassare la temperatura. Jonathan Finer, vice consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, è andato a “Face The Nation” sulla CBS per spiegare che gli Usa si stanno preparando a ogni possibilità e che l’aumento del dispositivo militare statunitense fra Golfo Persico e Mediterraneo orientale con l’invio di jet e di batterie navali «ha scopo difensivo» e serve per «essere pronti se la tensione risale». Finer ha sintetizzato l’approccio americano dicendo che l’obiettivo «complessivo» di questo dispiegamento militare deciso dal Pentagono, sono «la deterrenza e la difesa» di Israele e «la prevenzione di un conflitto più ampio». La de-escalation è stata anche il cuore della telefonata che il segretario di Stato Antony Blinken ha fatto agli alleati del G7. Il capo della diplomazia Usa, con gli alleati, ha ribadito che la via maestra per avere la stabilità regionale – e così lungo la Blue Line – passa dal cessate il fuoco a Gaza.
Quel che l’intelligence americana si attende comunque è un rappresaglia come da manuale dell’attacco del 13 aprile, ovvero il lancio di oltre 300 missili contro lo Stato ebraico. Questa volta però l’operazione potrebbe coinvolgere direttamente Hezbollah che vendicherebbe l’uccisione martedì scorso di Fuad Shukr, capo militare vicinissimo al leader Nasrallah. «Non escludo che altri gruppi proxy possano portare il loro contributo in un attacco a Israele – confessa a La Stampa un ex alto dirigente della Cia che ha ancora stretti contatti con l’Amministrazione Biden – ma nessuno, né Teheran né Hezbollah, ha forza e vantaggio nell’avere una guerra di lunga durata».
Significa, spiega la fonte, che la rappresaglia, visto il duro colpo inferto da Israele alla leadership iraniana con l’uccisione sotto i loro occhi di Haniyeh, sarà dura e intensa, ma non tale da richiedere a Israele di controbattere.
Ed è in fondo quello che Biden ha chiesto a Netanyahu nel loro colloquio telefonico giovedì sera cui si è unita anche la vicepresidente Kamala Harris.
I toni sono stati aspri, il presidente Usa, secondo alcuni resoconti, è stato perentorio e benché garantendo al premier israeliano il sostegno dinanzi alla minaccia iraniana, gli ha ricordato che «se sarà lui a provocare un’escalation, stavolta non saranno gli Usa a pagare la cauzione» per salvare Israele. Biden è rimasto infatti infastidito dall’operazione con cui è stato eliminato il leader di Hamas per due motivi: il primo è la scelta del momento. «Pessimo tempismo» l’ha definito, poiché arriva quando gli Usa stanno esercitando la massima pressione e sforzi per arrivare a un’intesa sul cessate il fuoco a Gaza e il rilascio di alcuni ostaggi. E l’intesa, nonostante gli ostacoli – come le 29 modifiche apportate al documento da siglare volute da Hamas e certe reticenze israeliane sul controllo del Corridoio Philadelphi – poteva essere raggiunta in qualche settimana era la convinzione fra i funzionari del Consiglio per la Sicurezza nazionale. Nel colloquio del 25 luglio alla Casa Bianca Biden aveva alzato la voce con Netanyahu dicendogli di «voler un accordo in due settimane». Un’accelerazione che ha fatto dire ad alcuni israeliani, citati da Axios, che gli «Usa vogliono un accordo subito senza badare troppo a quanto c’è dentro l’intesa».
In secondo luogo l’attacco ad Haniyeh ha riportato tutte le preoccupazione su un conflitto su larga scala che dopo il 13 aprile Washington riteneva di aver, se non evitato definitivamente, almeno reso meno probabile. «Questo non ha aiutato», ha detto Biden ai reporter, riferendosi proprio all’uccisione del capo di Hamas.
Il generale Michael Kurilla, capo del Centcom, è nella regione per un giro di consultazioni. La missione era già stata pianificata da tempo, ma capita in un momento chiave. Oltre a Israele visiterà altri Paesi del Golfo e la Giordania, partner determinante nel consentire il 13 aprile scorso l’abbattimento di missili e droni iraniani lanciati contro Israele.