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Quanto sta cambiando la Chiesa. Cento anni fa il 65% della popolazione cattolica mondiale viveva in Europa. Oggi la quota è scesa sotto il 25%. L’Africa subsahariana si sta avvicinando al 20%. I cattolici latinoamericani sono quasi il 40%. L’ultimo Papa italiano è morto da quasi mezzo secolo. Dal 2015 regna per la prima volta un Papa latinoamericano, primo non europeo dopo il siriano Gregorio III nell’VIII secolo. I 21 uomini che il prossimo 27 agosto saranno creati cardinali fotografano nello spazio il cambiamento. Accade sempre così, ogni volta che il lotto dei promossi di turno diviene pubblico. Sulla base dei nomi annunciati dal Pontefice, solo responsabile della scelta, il pubblico immagina la carta. Come il rosso acceso che indossano, simbolo di forza fino all’effusione del sangue, i cardinali spiccano. Essi coadiuvano il Papa nel governo centrale della Chiesa, compongono insieme il collegio cardinalizio, alcuni di loro reggono articolazioni nevralgiche nella Curia romana e altri sono a capo di diocesi. Soprattutto, se minori di 80 anni, eleggono il nuovo Papa.
La loro scelta issa rilievi sulla carta del mondo cattolico. Nel 2020 è stato creato il primo cardinale nero americano, Wilton Daniel Gregory. Il prossimo 27 agosto diverrà cardinale l’indiano Anthony Poola, il primo dalit, intoccabile fuori casta, della storia. Paraguay, Singapore, Mongolia e Timor Est avranno i primi cardinali di sempre. Le ventuno promozioni annunciate lo scorso 29 maggio riguardano anche l’Italia. A dispetto del calante peso demografico del Paese, i cardinali italiani restano il gruppo nazionale più folto, ma la loro carta si caratterizza per le depressioni più che per i rilievi. Cresce la percentuale di cardinali ultraottantenni, i cosiddetti non elettori. Sono italiani 3 dei nuovi 5. Soprattutto sono al momento scomparsi i cardinali a capo di diocesi di grandi dimensioni e grandi tradizioni. Genova, Torino e Venezia, Napoli e Palermo non sono più guidate da arcivescovi cardinali. Né lo è più Milano e la sua arcidiocesi ambrosiana, una delle più ricche di storia e tra le più popolose al mondo per numero di battezzati. Soltanto Firenze e Bologna, tra le grandi sedi storicamente presiedute da cardinali, proseguono la tradizione. Per le altre la presenza di cardinali emeriti, arcivescovi di ieri, sottolinea l’assenza di oggi. È così per Palermo, con i due ex arcivescovi Salvatore De Giorgi e Paolo Romeo nel collegio cardinalizio, e per Milano, con Angelo Scola.
Tra rilievi e depressioni, la carta sussulta: in Italia e nel mondo i grandi cambiamenti della Chiesa sconvolgono il paesaggio. Muta il modo stesso di fare la carta, si trasformano le coordinate, le dimensioni, i piani, concorrono geografie molteplici, fondate su fenomeni, percezioni, saperi in divenire. Lo spazio si stringe e si dilata, cambia natura. Fin dalla sua esortazione apostolica Evangelii gaudium del 2013, a nemmeno un anno dall’elezione, Papa Francesco ha risposto con il principio per cui «il tempo è superiore allo spazio».
In un mondo che tende a «privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi» il Papa argentino invita all’opposto: si tratta «di iniziare processi più che di possedere spazi». Il tempo, per Francesco, è «l’orizzonte più grande» che aiuta a «sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse», ma anche «i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone». Con i «processi possibili», con la «strada lunga», il tempo «ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce».
Più volte, nel corso del pontificato, il Papa è tornato sul punto, con le parole e con i fatti. Ha scelto così i suoi spazi, a cominciare dalle isole dei migranti, da Lampedusa a Lesbo, e dalle rotte verso Mosca, l’aeroporto di L’Avana per l’incontro con il Patriarca Kirill, l’ambasciata russa di via della Conciliazione dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Ha scelto così la sua Santa Marta, dentro la Città del Vaticano, e la piazza San Pietro deserta della preghiera per la fine della pandemia nel marzo del 2020. Alla ricerca di spazi non posseduti, ma ordinati e illuminati dal Vangelo appartengono le periferie, luogo e metafora, le destinazioni saltate, da ultimo Giuba, la capitale del Sud Sudan, e gli spostamenti, la Fiat 500, le passeggiate per Roma, ora persino la sedia a rotelle, con quell’artrosi che riassume l’usura del percorso.
Vanno compresi analogamente i cardinali di Francesco, uomini nello spazio oltre lo spazio, nati con la geografia bidimensionale delle vecchie carte e a loro agio con le geografie multiple del digitale. Il più giovane dopo il concistoro di agosto sarà il quarantottenne vescovo missionario Giorgio Marengo, cuneese, prefetto apostolico nella capitale mongola Ulaanbaatar. Il neo presidente della Conferenza episcopale italiana, Matteo Zuppi, creato cardinale nel 2019, è passato per Trastevere e per la mediazione in Mozambico, è stato parroco a Torre Angela, nella periferia orientale di Roma, prima di diventare arcivescovo di Bologna.
Se il tempo è superiore allo spazio, del resto, cambia la prospettiva. L’alto ufficio cardinalizio e il prestigio della sede sono statici. Sanno di spazi posseduti. La precedenza deve andare alle traiettorie degli uomini che incarnano l’ufficio e a quelle delle terre da evangelizzare. Il dinamismo dei compiti nella Chiesa universale reinventa l’ufficio e la sede. Niente è scontato. I cardinali non sono necessariamente a capo di una diocesi e tanto meno a capo di una diocesi importante. Nessuna diocesi e nessun ufficio devono essere necessariamente presieduti da un cardinale. Non possono esistere ambizioni, rendite di posizione, automatismi. Le cosiddette sedi cardinalizie non hanno più ragione d’essere. Se si rinnovano cardinali al vertice delle diocesi di Washington, Brasilia e Marsiglia, per la prima volta un cardinale guida le diocesi di Manaus e Hyderabad. A Como torna un cardinale, Oscar Cantoni, dopo più di tre secoli. Milano, sede cardinalizia per eccellenza, è senza dal 2017 e non succedeva dal 1894.
Fu pubblicato nel 1965 The Secular City, il libro più influente della teologia cristiana del secondo Novecento. Paolo VI, cardinale arcivescovo di Milano fino a due anni prima, stava per chiudere il Concilio Vaticano II. Nel volume Harvey Cox invitava a guardare con fiducia al processo di urbanizzazione che aveva mutato il volto del cristianesimo. Le nuove metropoli erano il teatro e lo specchio di una società secolarizzata dove andava riducendosi lo spazio di Dio, ma per Cox erano anche la grande occasione per i cristiani. Finiti i monopoli e le certezze del passato, più fragili le tradizioni, la «città secolare» era il banco di prova per una testimonianza più libera, più autentica. Oltre mezzo secolo dopo sappiamo quanto Cox avesse visto giusto, quanto la città sia divenuta cruciale per le geografie dei cattolici.
Milano, anche qui, è esemplare. Laboratorio al contempo di multireligiosità e secolarizzazione, tradizione e sperimentazione, maggioranza storica e minoranza praticante, la diocesi ambrosiana ha riassunto in modo tutto suo il percorso di questi decenni. L’estensione territoriale e la numerosità dell’arcidiocesi hanno consentito un dialogo unico, nelle terre della vecchia Europa cattolica, tra metropoli e provincia. In osmosi con la società civile, la comunità cattolica ha reinventato le parrocchie e ha lanciato movimenti, ha ripensato l’essere laici e preti, uomini e donne di fede, ha innovato carità ed educazione, ha sviluppato la relazione con i cristiani non cattolici, i non cristiani, i non credenti. Alla vitalità del popolo ha fatto eco l’autorevolezza dell’episcopato, fino ai quasi papi Carlo Maria Martini e Angelo Scola. Poi il laboratorio della «città secolare» milanese è stato anche religioso postmoderno, dai rosari di Matteo Salvini all’occhio di Chiara Ferragni, dal don influencer Alberto Ravagnani ai sacramenti di Mahmood, e cioè dio del consumo, del capitale.
Non è una facile battuta che solo ai milanisti sia rimasto un cardinale. Nel suo cognome, il nuovo proprietario della squadra campione d’Italia, Gerry Cardinale, porta la memoria dei nonni italiani e d’uno sport americano, il baseball, dove i Cardinals di St. Louis sono tali solo per il cardinal red che indossano, codice pantone PMS 200 C.
Analogamente per tanta Milano la fede è deposito inerte, fossili senza storia e senza senso, multinazionali che succhiano il sangue dell’identità. Nel laboratorio milanese, come in quello delle città cardinalizie vecchie e nuove, si affermano nuovi assetti di potere ed è perciò in questione anche il potere nella Chiesa. Si verifica lì chi privilegia «gli spazi di potere» e chi al contrario rinuncia a «possedere spazi», chi fa carriera e chi serve, chi seppellisce i talenti e chi li investe. Sotto il pontificato di Francesco riforme istituzionali e contrasto alla corruzione sono state le due facce della stessa medaglia. La rinuncia ai diritti connessi al cardinalato da parte di Angelo Becciu (per uno scandalo finanziario) è maturata all’interno della Curia romana, ma altri casi si sono intrecciati con le vicende di grandi città. Nel caso più dirompente, del 2019, è stato dimesso dallo stato clericale il cardinale di Washington, Theodore McCarrick (per uno scandalo sessuale). Gli scandali hanno colpito inoltre i cardinali di Colonia, in Germania, e Lione, in Francia.
Le crisi nelle città cardinalizie, e altrove, hanno così incontrato le tensioni strutturali di questa Chiesa in mutazione e le geografie cattoliche si sono venute ridisegnando di conseguenza. I cardinali si trovano schiacciati tra due spinte contrarie. Da un lato li si vuole più evangelici e più evangelizzatori, più uomini di fede. Dall’altro li si vuole più efficienti e più efficaci, più uomini di organizzazione. Teologia e diritto canonico distinguono tra potestà d’ordine e potestà di giurisdizione, tra il sacramento che fonda la potestà degli ordinati — diaconi, presbiteri, vescovi — e gli uffici in cui si distribuisce il governo della Chiesa. Il Concilio Vaticano II aveva voluto allineate le due dimensioni, di modo che alle massime responsabilità di governo corrispondesse la pienezza dell’ordine sacro nell’episcopato. Se restava eccezionalmente possibile che il cardinale non fosse vescovo, diveniva norma che lo fosse.
Nulla, oggi, lascia intendere che si torni ai cardinali non vescovi del passato, ma la recente riforma della Curia romana ha confermato la tendenza già nell’aria alla promozione del laicato anche a incarichi di vertice presso la Curia romana. Se le donne non possono essere ordinate e tuttavia è giusto e necessario che governino, non resta che promuovere il laicato. Se si promuove il governo del laicato si ridimensiona quello dei ministri ordinati e si indebolisce la continuità tra ordinazione episcopale e incarichi di vertice, tra sacramento e autorità. La nuova liquidità del potere espone ulteriormente i cardinali al vento della trasformazione: li emancipa, li slancia, e nello stesso tempo li disorienta, li sovraccarica e li svuota. Nella misura in cui essi si relativizzano, Milano può dunque farne a meno e il collegio cardinalizio e il conclave possono fare a meno di Milano. Nella misura in cui si rafforzano, invece, Milano è più piccola senza un arcivescovo che vi rappresenti il laboratorio ecclesiale universale e la Chiesa è più povera senza un cardinale che rappresenti il laboratorio milanese.
Solo nel primato, Francesco lotta a sua volta con la contraddizione. Decide i cardinali cui delegherà le decisioni, sprigiona processi che deve controllare, nega spazi di potere che deve esercitare, guarda lontano mentre adotta misure emergenziali, salva uomini dalla tentazione di certi uffici e certe sedi e intanto li priva dello scatto che certi uffici e certe sedi sanno provocare. Cambia così la carta della Chiesa, mentre si adegua a riflettere le nuove geografie dei territori, delle persone, delle comunità e dei poteri. Il tempo è superiore allo spazio, insegna Francesco, che vuole liberare gli spazi dal dominio e consegnarli ai testimoni. È la sua sfida ultima.
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