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27 Giugno 2025La guerra delle narrazioni: Iran, Stati Uniti e Israele a confronto
Dalla stampa internazionale, due visioni opposte degli attacchi ai siti nucleari e alla televisione di Stato iraniana
Mentre i conflitti armati sembrano temporaneamente cessare, la battaglia per il racconto domina i media globali. Un confronto tra narrazioni occidentali e iraniane rivela molto più di quanto non dicano le bombe.
Khamenei: «Gli Stati Uniti non hanno ottenuto nulla»
Nel suo primo intervento pubblico dopo il cessate il fuoco del 26 giugno, la Guida Suprema iraniana, Ali Khamenei, ha dichiarato che gli attacchi americani contro i siti nucleari dell’Iran “non hanno prodotto alcun risultato”. Secondo la stampa iraniana, come il Tehran Times, si tratta di una sconfitta morale per Washington, incapace di fermare il programma atomico e costretta ad agire per proteggere Israele da un collasso militare.
Il tono è trionfalistico: si parla di “schiaffo alla superpotenza” e di un popolo unito e protetto dalla “provvidenza divina”. La narrazione ribalta il ruolo della vittima e trasforma l’Iran in vincitore morale della crisi.
Le fonti occidentali, come il Financial Times e Reuters, pur riportando le dichiarazioni di Khamenei, aggiungono sfumature: alcune fonti di intelligence USA minimizzano l’efficacia degli attacchi, mentre altre confermano danni significativi a strutture chiave. Intanto Trump rivendica una “vittoria storica”, ma non tutti a Washington sono d’accordo.
Un missile contro la TV di Stato
Il 16 giugno un attacco missilistico israeliano ha colpito gli studi della televisione pubblica iraniana (IRIB) a Teheran, durante una trasmissione in diretta. La giornalista Sahar Emami è rimasta al suo posto per alcuni secondi sotto i detriti, prima di essere evacuata. Con lei, anche la corrispondente della BBC, Lyse Doucet.
Secondo Israele, l’edificio ospitava anche operazioni di supporto militare e rappresentava un “centro di propaganda”. L’Iran risponde duramente: Press TV parla di crimine di guerra, paragona l’episodio a quanto accaduto in passato a Gaza e chiede l’intervento urgente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. L’episodio diventa simbolo di una guerra che punta a silenziare la voce del nemico.
Nei media occidentali, l’attacco viene documentato come un’escalation simbolica, ma senza accogliere del tutto la narrativa iraniana. Organizzazioni come il CPJ (Committee to Protect Journalists) esprimono preoccupazione, ma nessuna condanna formale arriva dai governi alleati di Israele.
Due realtà parallele
I due episodi raccontano molto di più della crisi in corso. Non solo bombe, ma visioni del mondo divergenti: l’una centrata sulla resistenza nazionale e spirituale, l’altra sulla strategia geopolitica e sulla legittimità militare. Le parole, le immagini, i silenzi selettivi sono oggi armi tanto potenti quanto i droni.
In Iran, ogni attacco viene trasformato in una vittoria morale. In Occidente, l’efficacia militare viene messa in dubbio, ma raramente si interroga il linguaggio stesso della guerra. Il risultato? Due opinioni pubbliche che vedono, ascoltano e credono a realtà opposte — e difficilmente comunicanti.