
Quel filo che unisce Heidegger e Bonaventura
8 Ottobre 2025
La condanna definitiva di Cesare Geronzi, arrivata dopo quindici anni, è una notizia che non riguarda solo il passato. È il simbolo di un sistema di potere e di impunità che ha segnato la storia economica e morale dell’Italia recente.
Il caso Cirio — 35 mila risparmiatori traditi, oltre un miliardo di euro bruciato — resta una ferita ancora aperta. Le obbligazioni vendute come “sicure” si rivelarono carta straccia, e mentre migliaia di famiglie perdevano tutto, chi aveva diretto le banche continuava a sedere nei consigli d’amministrazione dei grandi gruppi finanziari.
Geronzi, come altri protagonisti di quella stagione, ha incarnato la fusione tra finanza, politica e impresa che ha protetto se stessa più di quanto abbia protetto i cittadini. La sua carriera — dalla Banca di Roma a Capitalia, fino a Mediobanca e Generali — mostra come in Italia il potere raramente paghi il prezzo degli errori.
La condanna, pur tardiva e parziale, arriva in un Paese in cui la fiducia nel sistema bancario è ancora fragile. Dopo Cirio e Parmalat, dopo Monte dei Paschi e le banche venete, la domanda resta la stessa: chi risponde delle scelte che distruggono la vita dei risparmiatori?
Oggi, mentre si parla di “transizione verde” e “finanza etica”, vale la pena ricordare che nessuna riforma può funzionare se non restituisce responsabilità, trasparenza e memoria. Senza una vera cultura della colpa — e della giustizia in tempi umani — la distanza tra cittadini e istituzioni economiche continuerà ad allargarsi.
La vicenda di Geronzi non è dunque solo una pagina di storia giudiziaria, ma una lezione politica: la giustizia ritardata è una giustizia negata, e il potere senza controllo è sempre tentato di ripetersi.