Ogni tanto vado a rivedere una bella fotografia ripresa da 910 chilometri sopra la nostra testa dal satellite Landstat e la osservo nel silenzio della mia stanza. Con una buona lente scruto a scala maggiore città e fiumi, montagne, laghi, vie di comunicazione; nei particolari la Laguna tra Brenta e Piave con Chioggia, Pellestrina, il Lido, Venezia, le isole, il Canal Grande, il Ponte della Ferrovia, Marghera, il Canale dei Petroli…
Ma come sono fitte le abitazioni degli uomini tra Venezia, Padova e Treviso! Sembrano così un’unica metropoli. Poi i Colli Euganei, i Berici, Vicenza, Verona, il Garda; le gioiose colline dal Mincio al Tagliamento. Le città, viste da così lontano hanno un colore rossastro, compatto. Ecco il mio Altipiano: le strade che salgono, anche quelle della Grande Guerra; a destra il Grappa, a sinistra il Pasubio. Sulle montagne, sopra i duemila metri c’è la neve, sui versanti a Nord è anche più bassa. Forse la fotografia è stata fatta in maggio. O a novembre? Vedo bene la conca di Asiago e quella di Marcesina, il Passo Vezzena, la Valsugana. Riesco a puntare la matita in maniera precisissima sul luogo dove mi trovo ora. La nostra piccola patria! Poi di là ci sono le Alpi e i popoli dell’Europa Centrale e laggiù l’Italia fino alla Sicilia.
Mi viene da dire «Noi siamo tra le stelle, tutti…». Come scrissi nel mio primo libro sessant’anni fa e questa terra, questa visione, era solo nell’immaginazione. Guardo, ricordo, immagino: come sarà stato questo paesaggio due o tremila anni fa? Mille? Già nella mia lontana infanzia, visto da quest’altezza sarà stato diverso. Come sarà tra cento anni?
Un giorno, dopo un violento temporale notturno che fece acqua alta, nel treno da Venezia a Mestre, una mattina di fine estate rimasi estasiato e commosso fino alle lacrime vedendo a Nord, contro il cielo limpidissimo, la “mia” montagna: il Portule. Preciso, chiaro nei particolari al punto che seppi distinguere la Busa del Morto dove, dopo lo sparo, raccolsi il gallo forcello che donai a Elio Vittorini, e la Croce del Diavolo dove mi incontravo con il pastore Carlo che mi raccontava le storie, e l’Ometto di pietre dove si ritrovano le pernici bianche. Un sogno?
No, così era anche mille anni prima e mi parve di capire la Terra, le Montagne, il Tempo e gli Uomini.
La montagna è una spalla per portare il Tempo. La fantasia, la memoria, i sogni della giovinezza disgelano anche la poesia che è in ognuno, ma il cammino, la fatica, gli studi, l’osservazione e gli anni sono cose concrete che ci svelano il reale. Questo lo vedo e lo recepisco quando ancora oggi, seppure raramente rispetto a ieri, risalgo le mie montagne fino ai confini dell’Altipiano con il Trentino. Lassù trovo dei punti di osservazione che mi rivelano la contemporaneità: dalle Melette di Foza osservo la Valle del Piave e, là in fondo, Belluno dentro una leggera foschia. Molte volte, d’autunno, una fitta nebbia copre il fondovalle e solamente il Cansiglio, il Col Visentin, l’Alpago e poi il Serva si riescono a vedere; giù, verso Sud, una nebbia grigiastra copre il canale del Brenta e si arrampica per i versanti del Grappa e dell’Altipiano. Laggiù la pianura non si vede. Ma se è primavera, di buon mattino e dopo una pioggia, il tuo sguardo si bea: il mare! Come ce lo racconta Emilio Lussu, quando lo videro i bosniaci dopo aver conquistato la vetta del Monte Fior nella primavera del 1916
Dalla Cima del Prà e dal Castelnuovo lo sguardo spazia dalla Svizzera all’Austria e laggiù, dentro un cielo in dissolvenza luminosa intuisci la siluetta delle Alpi Giulie. La fantasia corre e immagini anche quello che non vedi al di là delle Alpi: nazioni, popoli, città, laghi, fiumi, mari e capisci come questo nostro Veneto sia importante nel contesto europeo; che da millenni è luogo d’incontro di civiltà; dal tempo preistorico della Via dell’Ambra che univa il Baltico al Mediterraneo. Questo rumore ininterrotto e sordo che sale dalla Valsugana è del traffico dei Tir che oggi hanno sostituito quello pedonale dell’ambra. (…)
Con più attenzione curiamo le strade delle nostre montagne venete, patrimonio lasciatoci dalla Grande Guerra, che sono anche accesso a quel “Museo all’aperto” costituito da tutte le opere che “sul campo” sono da “leggere” e osservare come unica e singolare lezione di storia materiale. Siamo ancora in tempo a salvare questo nostro territorio montano che produce ossigeno, conserva e distribuisce acque, dona riposo e svago ai cittadini. Invece di costruire “seconde case” che vengono abitate due mesi all’anno, e che sciupano territorio agricolo e creano problemi di traffico, di smaltimento rifiuti, allacciamenti, rivalutiamo e riattiviamo le case abbandonate. Per gli impianti di risalita a fune e per il turismo invernale stiamo attenti: i tempi sono cambiati, e ci sono montagne votate a sfruttare le discese, altre le escursioni o il fondo. Chi pensava, dieci anni fa, che il camminare sulla neve con le racchette avrebbe avuto lo sviluppo che quest’anno abbiamo visto?
Veneto: pianura intensamente popolata che da agricola è diventata industriale, passaggio tra Nord e Sud e tra Ovest ed Est dell’Europa, la prima regione turistica d’Italia, ora terra di immigrati e di multiproduzione; alle spalle le montagne. Saranno le montagne la salvezza?







