Ma siamo sicuri a pensarci bene che non sia un benservito
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11 Novembre 2022
Il mistero del manager
L’INCHIESTA
ROMA Dovranno presentarsi davanti ai colleghi di Genova, per essere interrogati nella veste di indagati, i tre pm di Siena, titolari del fascicolo sulla morte di David Rossi, il capo della comunicazione di Mps che il 6 marzo 2013 venne trovato morto, dopo essere precipitato dalla finestra. Gli allora sostituti procuratori Nicola Marini, Aldo Natalini e Antonino Nastasi sono accusati di falso aggravato dalla Procura di Genova, competente per i reati commessi dai pm di Siena. Le contestazioni riguardano la mancata verbalizzazione della perquisizione, con annessa ispezione informatica e sequestro, della stanza usata da Rossi.
L’IMPUTAZIONE
I tre pm, si legge, nel verbale del 7 marzo, «omettevano di attestare che nelle ore precedenti, e in particolare dalle 21,30 sino a circa mezzanotte del giorno precedente, avevano già fatto ingresso nella predetta stanza – si legge nel capo d’imputazione – prima che la stessa venisse fotoripresa dal personale della polizia scientifica». In quell’occasione, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbero «manipolato e spostato oggetti senza redigere alcun verbale delle operazioni compiute e senza dare atto del personale di polizia giudiziaria che insieme a loro avevano proceduto a questo sopralluogo». Gli interrogatori dei magistrati inizieranno mercoledì nella caserma del nucleo di polizia economico-finanziaria di Genova. Nell’inchiesta è confluita anche la relazione finale approvata a settembre (senza unanimità) dalla commissione parlamentare sulla morte di Rossi. Secondo la maxi-perizia dei Ris, l’ipotesi «più compatibile» risulta il suicidio. «Sono emerse alcune circostanze che meritano di essere tratteggiate – si legge nel documento – Conviene muovere dal tema dei cosiddetti festini poiché è da qui che sono scaturiti i maggiori sospetti e punti d’ombra sull’operato dei magistrati che si sono occupati della prima indagine». Gli interrogatori serviranno a chiarire la loro posizione, anche perché finora non hanno avuto possibilità «neppure di difendersi da accuse infamanti», come spiegato anche nella relazione.
Valeria Di Corrado